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Europee in Olanda: i socialisti esultano anche se pareggiano

Daniele Dell'Orco
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L’antipasto delle elezioni Europee andato in scena in Olanda ha anche anticipato, in qualche modo, i toni delle analisi politiche che leggeremo domani, e soprattutto dopodomani, su buona parte della stampa continentale.

Pur di non ammettere un netto cambio di paradigma politico-culturale nei diversi Paesi a prescindere dagli zero virgola percentuali, proveranno a convincere tutti che comunque andrà sarà stato un successo. Per loro.

Il preambolo dal Paese dei tulipani è esiste per via del fatto che in Europa non ci sia un election day ma si voti alla spicciolata in base alle usanze e alle specificità dei singoli membri. Giovedì quindi ha alzato il sipario l'Olanda, ieri è toccato a Irlanda e Repubblica Ceca, oggi e domani tutti gli altri. Come quando durante la pausa della serie A gli appassionati si misurano persino con i campionati boliviani pur di avere qualcosa da dirsi al bar, la tornata olandese, in mancanza d'altro, si è trasformata nelle presidenziali americane. Sui giornali italiani ed europei si è celebrato il trionfo di Frans Timmermans e della sua alleanza Laburisti-Verdi sul Partito per la libertà (PVV) di Geert Wilders, uno dei cattivoni delle destre europee.

In effetti, i progressisti olandesi sono andati bene. O perlomeno meglio del previsto. Ma il punto è che, il previsto, era qualcosa di catastrofico. La formazione progressista orange ha ottenuto il 21,6% conquistando 8 dei 31 seggi europei che spettano ai Paesi Bassi e che nel caso specifico riguardano il raggruppamento Renew Europe.

Il Pvv si è invece fermato al 17% circa, eleggendo 7 eurodeputati certi. Timmermans nel suo bagno di dopamina ha lanciato un messaggio, immediatamente rilanciato dai giornali, a tuta Europa: «Fate come in Olanda, la destra si può fermare». Be’, se come modello da seguire intende proporre quello capace di portare i sovranisti da zero al 23% e al governo del Paese in meno di cinque anni, allora si accomodino pure tutte le sinistre.

Ma anche nella tornata specifica, le proiezioni più accreditate della vigilia parlavano della possibilità per Wilders, e per il gruppo europeo di cui fa parte, il temutissimo Identità e democrazia (lo stesso della Lega), di ottenere 8 seggi. Averne presi 7 non corrisponde certo al concetto di “frenata”.

Di più. Il fronte guidato da Timmermans ha nel suo complesso perso un seggio rispetto alla scorsa tornata, mentre gli osservatori sembrano dimenticare che alle Europee del 2019 il partito di Wilders ne ottenne uno solo, tra l'altro successivamente perso dopo il passaggio a un altro partito del suo eletto. Infine, non è nemmeno detta l'ultima parola perché, considerando che gli exit poll lasciano ancora un margine, verosimilmente di un seggio, esiste la possibilità che quando domenica verranno annunciati i risultati finali il partito di Wilders ne possa ottenere uno in più.

Anche gli alleati di coalizione più piccoli di Wilders, il populista di destra Partito degli Agricoltori (BBB) e il centrista Nuovo contratto sociale (NSC), entrambi nuovi nell'arena europea, sembrano essere riusciti a conquistare tre seggi (rispettivamente due e uno).
Insomma, non si dovrebbe parlare nemmeno di vittoria di Pirro ma, a voler essere generosi, di pareggio di Pirro.

L'unico dato della tornata olandese utile, ma alle destre, per capire cosa (non) fare è quello dell'affluenza. Secondo Ipsos I&O è stata del 47%, la più alta degli ultimi 35 anni, con un aumento di cinque punti rispetto alle ultime elezioni. E sarebbe stato questo il fattore decisivo per salvare la faccia agli europeisti. Gran parte delle persone che hanno votato per uno dei quattro partiti di governo sono rimaste a casa, probabilmente pensando che la valanga di Wilders sarebbe stata certa. Ecco, la lezione è: non lasciarsi abbindolare dalla psicologia inversa della sinistra che parla come se le destre stiano per sfiorare il 70% spingendo più elettori possibili, tradizionalmente più pigri, a pensare che il gatto sia ormai nel sacco. E ad andarsene al mare.

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