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Europee, il pericolo "spiaggia" sul voto per Bruxelles

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Gianluigi Paragone
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Ieri mattina mi sono imbattuto in gazebo elettorali. Anche se l’appuntamento non scalda i cuori e la discussione stenta a partire, tra poche settimane si voterà per le Europee. Non è un argomento di chiacchiera; in televisione i conduttori soffrono quando si parla di Bruxelles e persino i partiti fanno fatica ad avvicinare le persone.

I gazebo, dicevo. Ne ho incontrati diversi: tutti vuoti o quasi. I volantini restano lì, come i santini con su scritto il nome del candidato che cerca di strappare la preferenza. Già, perché sulla scheda dell’8 e del 9 giugno bisognerà scrivere il cognome di chi si vuole mandare al parlamento europeo. Come andranno le elezioni? Mi sbaglierò, ma dall’aria che tira non credo che per l’Europa i cittadini sacrificheranno l’agenda di quel weekend (tenete conto che le urne si apriranno il sabato pomeriggio e la domenica fino a sera tarda). L’astensionismo sarà il primo dato che commenteremo. Ho già detto che il grosso degli elettori prenderanno le Europee come il girone di ritorno delle politiche e infatti saranno soprattutto le ricadute interne a diventare oggetto di discussione.

 

 

 

Eppure, la retorica europeista è stata la più grande macchina propagandistica messa in moto negli ultimi vent’anni. Mai così tanti soldi pubblici spesi per costruire il “cittadino europeo”: spot, iniziative varie (soprattutto tra i giovani nella speranza che il lavaggio del cervello porti a creare quel che oggi ancora stenta a decollare), materiale informativo, libretti, spazi e inserzioni pagate profumatamente, gadget, infopoint e tanto altro. Risultato? Niente, l’Europa non prende, non tira e non attira. Ci si professa “europeisti” per non avere seccature, ma essere europei è altro e quest’altro non si compra.

La generazione “euro” ha sicuramente quel passo in più che chi ha vissuto la (splendida) stagione della lira non ha, ma al netto del “blabla” si ritrova con una montagna di illusioni tradite. La generazione Erasmus è diventata grande e ora chiede un lavoro e una retribuzione che consenta di reggere il costo della vita. La generazione Erasmus è stata forgiata pacifista ma ora sente parlare di guerre, di aumento della spesa militare e di esercito comune. La generazione Erasmus è green ma a differenza dei nonni non sa riconoscere un abete da un faggio, una papera da un tacchino. La generazione Erasmus ha avuto il compagno di banco di colore ma, una volta grandi, ha scoperto che quel compagno di banco si sente più islamico che europeo e ora pretende che la sua identità sia scritta nel libro mastro di una Europa che non ha avuto il coraggio di dirsi culturalmente cristiana.

 

 

 

Il popolo non c’è nell’Europa. È stato tagliato fuori: gli chiedono un parere per il più inutile dei suoi organi, ovvero il parlamento europeo (due sedi assembleari più una terza di segretariato in Lussemburgo, alla faccia degli sprechi della Casta). Il popolo non conta nella scelta delle leadership europee. Strano no? La fantomatica Europa è senza un leader, senza un governo, senza un popolo. E se vogliamo dirla tutta, persino senza una forma di Stato. È una unione sgangherata che però pretende di standardizzare chi sta dentro il perimetro. Hanno speso una montagna di soldi per la propaganda europeista, bastava avere il coraggio di far votare il popolo sulla domanda più profonda: volete l’Europa o volete gli Stati? Prima o poi, questo referendum, lo dovranno fare. E forse il dibattito sarà vero. 

 

 

 

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