Cedu, vietare il velo islamico non lede alcun diritto
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha emesso una rilevante sentenza (caso 50681/20) sulla legittimità del divieto presente nella legge belga di indossare il velo islamico all’interno delle scuole. Alla Corte europea veniva chiesto se una siffatta disposizione normativa che vieta alle studentesse di indossare il velo islamico fosse una discriminazione fondata sulla religione, non ammessa dalla convenzione europea dei diritti dell’uomo.
La Corte, nel rilevare che il fatto di indossare segni o indumenti per manifestare la propria religione rientra nella libertà di pensiero, di coscienza e di religione, ha però affermato che un siffatto divieto non costituisce una discriminazione, ove riguardi indifferentemente qualsiasi manifestazione di tali convinzioni e tratti in maniera identica tutti i soggetti interessati, imponendo loro, in maniera generale ed indiscriminata, una neutralità di abbigliamento che impedisca di indossare dei segni religiosi distintivi.
In sostanza, viene convalidata la legge dello stato europeo che, nel perseguire una politica di neutralità religiosa all’interno dei luoghi pubblici, non ammette in tali contesti l’esibizione di convinzioni politiche, filosofiche o religiose.
Dunque, per perseguire il fine della laicità dello stato, il divieto normativo deve colpire indistintamente tutti i segni religiosi ostentati. Solo così, con una regola uguale per tutti, secondo la Corte europea, non sussiste nei confronti delle studentesse che seguono determinate regole di abbigliamento in applicazione di precetti religiosi, una discriminazione fondata sulla religione.
Discorso a parte va fatto però con riguardo al crocefisso: in più occasioni è stato precisato dalla giurisprudenza che l’esposizione del crocifisso non è lesiva di diritti inviolabili della persona né è, di per sè, fonte di discriminazione tra individui di fede cristiana e soggetti appartenenti ad altre confessioni religiose. E specificamente la Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza del 18 marzo 2011 ha sostenuto che il simbolo è essenzialmente passivo e la sua esposizione nelle scuole è stata ritenuta non idonea ad influenzare la psiche degli allievi, né a condizionare od ostacolare l’esercizio della funzione del docente.