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Polonia, nuova trovata Ue: regala a Putin la destra

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Giovanni Longoni
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L’Unione europea è in festa. Lunedì la Commissione ha archiviato la procedura di infrazione contro Varsavia ex Art. 7: lo Stato di diritto sulla Vistola non è più in pericolo. Autore del miracolo è il premier moderato Donald Tusk che, dopo aver saputo agglomerare un’alleanza di sei sigle attorno a sé in modo da strappare al partito più votato, il PiS (Legge e Giustizia), la maggioranza assoluta, ha ricevuto da Bruxelles l'incarico informale di cambiare radicalmente il Paese. Il leader di Piattaforma Civica ha smantellato in poche settimane il sistema di potere messo su dai predecessori di destra. Il Donald di Danzica ha fatto ricorso a metodi a dire poco spicci; a parti invertite si sarebbe parlato di colpo di Stato. Televisioni chiuse, istituzioni culturali epurate, giornalisti cacciati. Non contento, Tusk ha fatto presentare una proposta per estendere il diritto all’aborto, subito seguita da altre tre iniziative legislative di contenuto simile.

DUE FAZIONI
Quello di Tusk è stato un successo? Vediamo un po’. La destra polacca, che prima era antirussa in modo meloniano, oggi, come tante altre estreme (a destra e a sinistra), flirta con Orban e sostiene che si deve scendere a patti con Putin. Prendete Mateusz Morawieczki, considerato, quando era premier, il moderato del PiS: ora sta costruendo un’alleanza con Orban. Non è escluso che Legge e Giustizia lasci il gruppo dei conservatori per trasferirsi in Identità e democrazia. Settimana scorsa a Budapest Morawieczki ha sproloquiato di «idee distruttive delle élites liberali» che sembrava un Alexander Dugin pulito e sbarbato. In questi giorni, poi, la stampa di Varsavia racconta un altro episodio della deriva. Un giudice vicino al PiS, coinvolto in uno scandalo, è scappato in Bielorussia chiedendo asilo politico a Lukashenko. Anche il magistrato spinge per un dialogo con Mosca. Nel Dna del PiS c’è sempre stato anche questo aspetto. Oggi la Polonia passa per un Paese a forma di patata, che produce tante patate ed è nota per l’ottusità tuberosa dei suoi abitanti, tutti cattolicissimi e acerrimi nemici dei russi. Un Paese da barzelletta, insomma.

 

 

Ma la realtà è diversa dal mito. Fino alla metà del Settecento la Polonia era uno degli Stati più vasti e liberi del Continente. Aveva accolto gli ebrei in fuga da occidente; vi convivevano cattolici e protestanti (tra cui un tale Nicolaus Copernicus). Con Venezia, Olanda e Svizzera condivideva un ordinamento che ai tempi veniva considerato repubblicano. Aveva molte ricchezze, troppi territori e grandi fragilità. I suoi vicini amanti dell’autoritarismo, Prussia (poi Germania) e Moscovia (poi Russia) non si fermarono finchè non l’ebbero smembrata completamente. Ma i polacchi, a differenza delle patate, non sono facilmente digeribili. Sconfitti, non smisero di lottare. Sbaragliati, elaborarono una mistica della disfatta che permise loro di ignorare a lungo l’esito disastroso delle battaglie intraprese. Ma, come ogni popolo, anche questo tende a dividersi in due poli contrapposti. Da una parte ci fu chi restò fedele agli ideali della vecchia Rzczpospolita: occidentalismo, filosemitismo, democrazia e odio per la Russia. Dall’altro, c’era chi invece temeva più la Germania e la sua politica di germanizzazione delle terre orientali.

La spaccatura nella società polacca ha dei simboli: in letteratura è la differenza fra il rivoluzionario Miczkiewicz e il reazionario Krasinski. In politica è la differenza fra il nazionalismo civico e quello etnico (in Polonia, Paese privato a lungo del suo corpo fisico, la nazione, narod, è tutto). Nella seconda metà dell’Ottocento, i ripetuti fallimenti delle insurrezioni contro i russi spinsero alcuni polacchi, fra cui Roman Dmowski a riflettere sugli insuccessi. Egli incolpò gli ideali romantici e autolesionistici dei Kosciuszko e dei Miczkiewicz. Bisogna cambiare, sostenne, abbandonare i miti della Repubblica nobiliare e puntare sulle risorse della “nazione” polacca intesa in termini puramente etnici. Nasce un nazionalismo simile a quelli di tanti altri nell'Europa orientale e nella Mitteleuropa: tradizionalista, antisemita, xenofobo. Ma più timoroso di Berlino che della pur esecrata Mosca.

I DIOSCURI DEL PIS
Anche ai nostri tempi, la politica del PiS, in qualche modo erede di Dmowski, è in linea con le sue origini: più preoccupata di Bruxelles che di Mosca, almeno fino a quando l’attacco russo alla sorella ucraina ha scompaginato le carte in tavola. I gemelli Kaczynski, sono stati quelli che hanno fatto la più grande apertura di credito a Putin. Nell’aprile 2010 Lech Kacziynski, allora presidente, guidò una folta delegazione comprendente ministri, generali, alto clero, a Smolensk dove Putin li aveva invitati a commemorare il 70° del massacro di Katyn. Un passo importante da parte di Mosca ma la gita in Russia finì male. Pare che il viaggio di ritorno si trasformasse in una baldoria alcolica e i piloti persero il controllo del Tupolev che si schiantò a terra. Non si salvò nessuno dei 96 occupanti del velivolo in una strage che sembrò la versione grottesca dell’eccidio staliniano che si voleva commemorare.
Perla Polonia di Morawiecki, Kaczynski (Yaroslav, il superstite) e Duda solo l’America e la Nato sono la garanzia contro le minacce del russo Putin e le ingerenze della tedesca von der Leyen. Ma tutto questo è finito, complici le elezioni continentali: i sondaggicertificano il sorpasso di Piattaforma sul PiS. Tusk, è ovvio, non cambierà rotta, la destra polacca nemmeno. Bruxelles è contenta così, come quando regalò la Turchia agli islamisti di Erdogan. Bella eurobischerata.

 

 

 

 

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