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Auto, la partita deve ancora iniziare: minaccia cinese sulle mini-car

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Sandro Iacometti
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Quando qualche giorno fa Ursula von der Leyen ha lanciato l’allarme sull’invasione delle auto cinesi in Europa il pensiero è immediatamente andato alla grande battaglia già in atto sul mercato continentale che sta mettendo in ginocchio i nostri produttori perla difficoltà di competere sui prezzi finali delle vetture elettriche. In questo scenario, spaventano gli accordi già firmati dal colosso cinese Byd (che recentemente ha superato Tesla per vendite globali) per costruire la sua fabbrica in Ungheria, aggirando così eventuali misure antidumping che la Ue potrebbe mettere in campo per arginare la concorrenza sleale, e spaventa pure, per gli stessi motivi, l’idea di Stellantis di puntellare la produttività di Mirafiori con le auto realizzate da Leapmotor, azienda sempre cinese di cui il gruppo italiano è socio al 21%.

Mossa che mal si accompagnerebbe al progetto, su cui per ora sembra ci siano più chiacchiere che trattative concrete, di una santa alleanza tra Stellantis, Peugeot e Volkswagen per contrastare la potenza di fuoco del Dragone. Ma non è l’unica contraddizione di cui si è avuta notizia nei giorni scorsi. Il ceo di Stellantis, Carlos Tavares, con i suoi 36 milioncini di euro di retribuzione, ad esempio si è fatto venire un’idea per abbassare i costi delle vetture: montare le batterie LFP al litio-ferro-fosfato (più scadenti ma più economiche) al posto di quelle NMC al nichel-manganese-cobalto. Ora, a parte il fatto che tutti i grandi progetti annunciati dalla ACC (Stellantis, Mercedes e Total) per la costruzione di grandi gigafactory in giro per l’Europa (compresa quella a Termoli in Italia) riguardano le batterie NMC, volete sapere chi ha il monopolio di quelle LFP? Manco a dirlo, i cinesi, con il colosso Catl (che per intendersi rifornisce anche Tesla).

 

 



Insomma, in un modo o nell’altro, sempre a prendere ordini da Pechino si finisce. Ma se il cinismo di Tavares può far storcere un po’ il naso, e i contribuenti italiani che hanno foraggiato per decenni la Fiat e ora assistono al suo declino ne hanno ben donde, forse il manager coperto d’oro per i suoi servigi è uno dei pochi che si è accorto che la partita vera non è quella che ora si sta giocando sulle vetture di fascia alta, ma quella che si giocherà sulle classi di clienti medio-basse.

L’INVASIONE
E la notizia, scontata, è che anche su questo terreno la Cina è pronta a farci a fettine. Mentre tutti sono concentrati sulle grandi berline e su vetture che vanno dai 40mila euro in su, nel regno del Dragone è infatti scoppiata la moda delle mini-car, ovviamente elettriche. Prezzi? Uno dei modelli costa appena 4mila euro. Meno di uno scooter. In un numero crescente di regioni meno sviluppate, la scelta preferita è la Hongguang mini del marchio locale Wuling. Questa piccola auto elettrica a due porte ha già venduto più di 1,2 milioni di unità.
La più piccola Hongguang mini è lunga circa 3 metri e larga 1,5 metri e può ospitare fino a quattro persone. Una batteria agli ioni di litio le garantisce un’autonomia, secondo il produttore, di 215 chilometri. I modelli più vecchi sono venduti a circa 30.000 yuan (3.900 euro), otto volte più economici di una Model 3, il prodotto di punta di Tesla.

Un fenomeno isolato e circoscritto? Tutt’altro. Wuling non è l'unico marchio a offrire mini-car elettriche. Anche i produttori locali Dongfeng Motor, Chery e Geely sono entrati in questa nicchia. Ora, immaginate se questi veicoli iniziassero ad essere venduti anche dalle nostri parti, dove le city car sono il segmento più venduto e più redditizio per i produttori. Pensate che un impiegato, un operaio o un qualsiasi esponente del ceto medio italiano ed europeo si comprerà una Hongguang mini oppure una Smart elettrica o una Panda che partono da circa 25mila euro? La realtà è che l’Europa, che con il suo 9% di emissioni mondiali continua ad inseguire gli ortodossi sogni panambientalisti che forse neanche Greta Thunberg coltiverà più una volta cresciuta, non ha idea (o finge di non averla) di cosa sta per abbattersi sul nostro continente. Batterie, terre rare, manodopera a basso costo ed energia, grazie alla produzione fossile che va a pieno regime, enormemente più economica che da noi. Per sconfiggere la concorrenza asiatica non basteranno nemmeno quei 500 miliardi di investimenti all’anno che invoca Mario Draghi. Soldi, peraltro, che nessuno a Bruxelles vuole scucire.

 

 

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