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Europa, trappola verde sugli imballaggi: quante aziende italiane farà fallire Timmermans

Attilio Barbieri
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La fine imminente della legislatura europea rischia di regalarci l’ultimo pacco “green” confezionato da quel che resta dell’asse rosso-verde, guidato fino a pochi mesi or sono dall’ex numero due della Commissione Ue, l’olandese Frans Timmermans. Il ravvedimento pur tardivo del Partito popolare europeo, ha consentito di disinnescare in buona parte le euro-follie ecologiste: dalla direttiva sulle “case green” fino all’etichetta a semaforo. Resta un’ultima trappola: il regolamento sugli imballaggi che rischia di trasformarsi nella vera euro-fregatura di fine legislatura.

La novità intervenuta negli ultimi giorni è allarmante. La Commissione europea ha annunciato che presenterà al trilogo - composto da Eurogoverno, Parlamento Ue e Consiglio - uno studio d’impatto sull’applicazione del nuovo pacchetto imballaggi che punta a superare il riciclo in cui l’Italia è molto forte, a vantaggio del riuso. Dopo la votazione in plenaria al Parlamento europeo, il testo fortemente punitivo per noi, era stato ampiamente emendato: via il limite di un chilo e mezzo per l’ortofrutta confezionata, via l’obbligo al riuso in presenza di imballaggi riciclati superiori al 70%. E noi eravamo in grado di rispettare la soglia minima. Purtroppo il Consiglio della Ue ha fatto piazza pulita delle modifiche, sfornando un testo giudicato perfino peggiore rispetto a quello allestito da Timmermans e compagni.

 

 

 

Già «la regolamentazione sugli imballaggi era il peggior esempio di proposta ideologica, antiscientifica e strumentale, avanzata dalla Commissione europea, con la scusa della transizione verde», spiega Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia, l’alleanza fra i produttori agricoli di Coldiretti e oltre cento fra le maggiori industrie alimentari italiane di trasformazione. Il regolamento Timmermans accorcerebbe la vita a scaffale dei prodotti freschi e, ricorda Scordamaglia, «comporterebbe, secondo i più recenti studi, un aumento del 180% nelle emissioni di CO2 e un aumento del 240% del consumo di acqua». Da quasi due anni gli operatori, non soltanto in Italia, chiedevano a Bruxelles uno studio d’impatto sul passaggio dal riciclo al riuso. Mai arrivato.

Ma «dopo mesi di silenzio», spiega il numero uno di Filiera Italia, «durante la prima riunione del trilogo, il commissario Ue all’Ambiente Virginijus Sinkevicius ne ha annunciato l’imminente presentazione. Tutto ciò, alla fine del processo legislativo, rappresenta un pericoloso attacco alle prerogative delle altre istituzioni dell’Unione europea». Mentre «è necessario più tempo per lavorare sui nuovi dati e ciò non è compatibile con i tempi stretti prima delle elezioni europee. Come filiera agroalimentare italiana», conclude, «abbiamo già chiesto alla presidente dell’Europarlamento Roberta Metsola, ai relatori del provvedimento e ai rappresentanti delle principali forze politiche a Bruxelles di salvaguardare le prerogative del Parlamento Ue bloccando immediatamente il trilogo per dare il tempo alle commissioni competenti di valutare adeguatamente lo studio di impatto. Rimandando ogni necessaria discussione del dossier di alcuni mesi». Dunque alla legislatura Ue che uscirà dalle elezioni dell’8 giugno.

 

 

 

Dello stesso avviso è Paolo Bergaglio, presidente di Unionplast, cui aderiscono le imprese trasformatrici di plastica, con 300 associati e 22mila addetti. «Il testo uscito dall’ultimo Consiglio Ue è perfino peggio del primo, presentato a suo tempo dalla Commissione», spiega a Libero, «perché ha perso anche la caratteristica di neutralità. Per convincere la Finlandia a dare il via libera sono stati riammessi gli imballaggi in cartoncino vergine, a discapito di quelli in plastica. E non dimentichiamoci che proprio in Finlandia, Svezia e nei Paesi del nord si trova la maggiore concentrazione di cartiere, grazie alla disponibilità di cellulosa delle foreste da taglio. Una concessione che ha indotto i finlandesi, assieme a polacchi, svedesi e baltici, a un clamoroso dietrofront, abbandonando la minoranza di blocco capace di impedire al Consiglio Ue di mettere mano al testo emendato dall’Europarlamento. Così l’Italia si è trovata da sola a dire un “no” secco».

Ma «lo studio d’impatto» preannunciato da Sinkevicius, conclude Bergaglio, «arriva fuori tempo massimo. Non è accettabile che si rendano noti solo alla fine del processo legislativo europeo gli effetti delle nuove norme». La posta in gioco è enorme. Se dovesse passare il testo peggiorato dal Consiglio Ue sarebbe messa in dubbio la sopravvivenza di 4mila imprese fra quelle che operano nella filiera italiana degli imballaggi e quelle che li utilizzano e che occupano complessivamente 50mila addetti. Sui costi del pacco verde ci sono diverse stime. Secondo un’analisi di Assobibe, soltanto per allestire la rete dei centri di raccolta dei vuoti servirebbero 3 miliardi di euro. Che si sommerebbero ad altri 3 miliardi di mancati introiti per gli operatori del riciclo e al miliardo e mezzo delle materie prime recuperate che verrebbe meno.

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