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Nucleare, gli scienziati europei fanno passi da gigante? Ma la Ue dice "no"

Maurizio Stefanini

Gli scienziati europei sono all’avanguardia nel campo del nucleare ma i Paesi europei non ne vogliono sapere. Dal 2019, dopo l’incidente di Fukushima, i governi continentali sembrano fare a gara nel compiere passi indietro dall’atomo in nome di una mal digerita concezione della ecologia. La Germania si era impegnata a chiudere tutti i suoi reattori, lo stesso il Belgio; la Francia stessa, il gigante del settore, è teatro di accesi dibattiti pro e contro. Svizzera e Spagna hanno bloccato ogni espansione e l’Italia, fanalino di coda, vi ha rinunciato dal 1987.

Eppure, una speranza per una energia del futuro economica e pulita si fa più forte proprio grazie al nuovo record mondiale nella fusione nucleare che proprio l’Europa ha stabilito. A differenza della fissione, che scinde l’atomo, la fusione nucleare imita i processi che avvengono nel cuore delle stelle. Nel suo ultimo esperimento chiamato Dte3, il reattore sperimentale Jet ha prodotto 69 megajoule per 5 secondi con 0,2 milligrammi di combustibile.

Il successo è stato annunciato in una conferenza stampa online dal consorzio europeo Eurofusion. Il Joint European Torus, dicono gli esperti europei, «ha dimostrato la capacità di generare energia da fusione in modo affidabile».

L’esperimento ha superato il record ottenuto dalla stessa macchina nel 2022, con la produzione di 59 megajoule. Per chiarire: il Joint European Torus è il risultato di una grande collaborazione da parte di più di 300 ricercatori di 31 Paesi europei, coordinati dal consorzio Eurofusion. Di quest’ultimo l’Italia è partner con Enea, Consiglio nazionale delle Ricerche, consorzio Rfx e alcune università. II Jet è invece un tokamak, cioè un reattore dalla struttura toroidale che ricorda la forma di una ciambella. Al suo interno un potente campo magnetico contiene il plasma, ossia lo stato della materia che si ottiene all’interno del reattore, quando temperature altissime accelerano il movimento di atomi simili all’idrogeno in modo da avvicinarli fino farli fondere.

IL CANTO DEL CIGNO
Purtroppo, è stato «un canto del cigno», questo ultimo grande successo del reattore sperimentale Jet che è andato a riposo a fine dicembre 2023, dopo 40 annidi attività in Gran Bretagna, nel sito dell’Autorità britannica per l’energia atomica (Ukaea). Così si è chiusa in bellezza, la vita operativa di una delle più grandi e potenti macchine per la fusione del mondo. Il record annunciato era stato infatti ottenuto il 3 ottobre 2023, poco prima che questa storica macchina andasse in pensione.

A definirlo una sorta di «canto del cigno» è stato il ministro britannico per il Nucleare e le Reti, Andrew Bowie. «Ma la storia non finisce qui», ha aggiunto riferendosi al nuovo programma per la fusione, nel quale il governo di Londra ha impegnato 650 milioni di sterline da investire in ricerca e nuove infrastruttu re.

A differenza della fissione - il processo sfruttato dalle centrali nucleari in cui gli atomi vengono divisi - la fusione non produce rifiuti radioattivi di lunga durata. Gli isotopi possono essere ottenuti in grandi quantità e una piccola quantità di carburante ha il potenziale per alimentare una casa per centinaia di anni. Gli esperti hanno accolto l’annuncio di giovedì come un ulteriore segnale di progresso. «Jet ha operato il più vicino possibile alle condizioni delle centrali elettriche con le strutture odierne, e la sua eredità sarà pervasiva in tutte le future centrali elettriche», ha affermato Sir Ian Chapman, amministratore delegato della Atomic Energy Authority del Regno Unito, che gestisce il programma britannico sulla fusione. 

«Ha un ruolo fondamentale nell’avvicinarci a un futuro sicuro e sostenibile». Jet dovrebbe essere sostituito da un programma britannico, noto come progetto Spherical Tokamak for Energy Production (Step), da costruire sul sito di una centrale elettrica a carbone dismessa nel Nottinghamshire. Il governo spera che Step diventi una delle prime macchine a fusione al mondo in grado di fornire energia alla rete attorno al 2040. Nel frattempo, la dura lezione appresa dalla guerra in Ucraina sulla dipendenza energetica dall’estero, sta facendo cambiare idea a non pochi Paesi: Finlandia e Francia stanno aprendo nuovi impianti, Berlino ha rallentato l’iter di chiusra delle sue centrali, come il Belgio. Non resta che sperare una svolta anche in Italia.