Ue e Ppe ora fanno rotta a destra: altro che "Italia isolata"
Barra a destra, per evitare il naufragio. Il programma del Partito Popolare Europeo in vista delle elezioni di giugno è la negazione di quanto la maggioranza Ursula, quella strampalata alleanza tra sinistra, verdi, moderanti e liberali che governa a Bruxelles, ha propagandato dal 2019 a oggi. Triplicare la sorveglianza ai confini contro l’immigrazione clandestina, difendere i valori cristiani e mettere uno stop al bando delle auto a benzina e alle follie della politica green dell’ex vicepresidente della Commissione, il socialista olandese Frans Timmermans, che annusando la mala parata si è dimesso qualche mese fa per cercare - e non trovare fortuna in patria. Ecco il programma dei popolari, molto più vicino a quello dei conservatori della Meloni che a quello dei socialisti, a far capire in che direzione soffierà il vento per i prossimi cinque anni.
Già perché la notizia è che, già cinque mesi prima delle elezioni, la sinistra ha perso la sua presa sull’Europa. Il Pd e i progressisti nostrani avevano pronosticato che, con l’insediamento del governo Meloni, l’Italia sarebbe rimasta isolata nella Ue, una sorta di contrada di neofascisti schifata da tutti. La realtà è che Ursula von der Leyen è più vicina a Giorgia che a Macron, Scholz o Sanchez e che i giornali di sinistra sono costretti a registrare il malumore di Parigi e Berlino per l’ostentata amicizia e i rapporti stretti tra le due leader, quella europea e quella italiana. Il che non significa che l’asse tra Francia e Germania, quello che per decenni ha confinato l’Italia in seconda fila e che il Pd ha subito in silenzio, è morto; però vuol dire che le cose stanno cambiando e cambieranno ancora di più con i nuovi equilibri dell’Europarlamento.
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CACCIA AI MODERATI
La composizione dell’assemblea di Strasburgo è ancora un’ipotesi ma è chiaro che il Ppe, con questo programma decisamente conservatore ha intuito dove stanno andando i cittadini europei e cosa fare perché i voti dei moderati non si spostino sui conservatori, se non addirittura sulla destra di Identità e Democrazia, lo schieramento di Salvini, Le Pen e dei tedeschi di Afd. Il Ppe punta a fare l’ago della bilancia di una nuova maggioranza, forse ancora guidata dalla von der Leyen, ma non è affatto scontato, che veda a destra i conservatori e a sinistra i liberali macronisti. Poi si faranno i conti, probabilmente sarà una maggioranza mobile, con dentro anche i socialisti e solo l’appoggio esterno dei conservatori, i quali però avranno dei commissari - e Fdi difficilmente rinuncerà a esprimere quello italiano -, ma non è esclusa la possibilità di avere anche la Lega e il Front National in maggioranza, con i socialisti fuori e anche se ci saranno defezioni nei liberali, qualora i numeri lo consentano. Giochi di palazzo ai quali assisteremo a inizio estate.
ROMA AL CENTRO
Per l’intanto si registra un’Italia tutt’altro che isolata; anzi, guida spirituale perfino dei popolari, il cui programma di governo per l’Europa sembra scritto a Roma e non a Monaco, che è la roccaforte della Cdu, e quindi del Ppe. Il tutto mentre i socialisti si orientano per la presidenza verso una scelta di non cambiamento, l’attuale commissario Nicolas Schmit, un lussemburghese, come il tragico Jean-Claude Juncker, simbolo di una Ue delle banche, dell’austerity, della dittatura monetaria e dei conti e dei rapporti tra Paesi membri tutti giocati sulla forza anziché sulla collaborazione. Come a dire, avanti sulla strada sbagliata, con gli interpreti di sempre, i camerieri strapagati di Berlino.
A sottolineare la dissonanza tra il nuovo corso del Ppe e l’attuale maggioranza è il fatto che il programma dei popolari non contempli un cambio delle regole delle istituzioni e dei meccanismi del consenso nelle risoluzioni fondamentali della Ue, che dev’essere assoluto e non a maggioranza, come invece contemplato dalla sinistra, che vorrebbe così ridurre al silenzio Ungheria e Polonia. Questo mentre, ancora ieri, la socialista tedesca Katarina Barley chiedeva, intervenendo all’Europarlamento, la sospensione del diritto di voto di Budapest adducendo comportamenti discriminatori verso gli omosessuali.
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RIFORMA MORBIDA
Lo scenario Ue è frastagliato e i rapporti interni alla maggioranza sono ormai conflittuali, come prevedibile a ridosso delle elezioni. Quel che sembra delinearsi però è che l’Italia potrà avere un ruolo di tessitrice dei prossimi equilibri. Se ne sta avendo un chiaro segnale fin da ora, con l’Europarlamento che si sta orientando verso una riforma morbida del Patto di Stabilità, non punitiva verso gli Stati con i conti meno in ordine. L’assemblea plenaria infatti mercoledì ha approvato, con il sostegno quasi integrale, oltre che di popolari e socialisti, dei conservatori meloniani e dei liberali macronisti, un testo negoziale che punta a dare agli Stati dieci anni in più per risanare i conti, bocciai rigidi paletti sul disavanzo pubblico voluti dalla Germania e dai suoi Stati satellite, ed esclude dal computo del deficit le spese degli Stati che investono nelle priorità Ue. Questo a tacitare quanti il mese scorso sentenziavano che l’Italia aveva perso la sua battaglia in Europa sul Patto di Stabilità e che avremmo pagato caro il no all’approvazione del Mes, il meccanismo di stabilità bancaria.
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