Auto da demolire, un altro buon motivo per rottamare questa Europa
A suo modo, la proposta di regolamento Ue sulla «circolarità per la progettazione dei veicoli e la gestione dei veicoli fuori uso», che rischia di costringere alla rottamazione anticipata qualche centinaio di migliaia di automobili italiane a motore endotermico, ha un grande merito.
Ci ricorda il vero motivo per cui, tra meno di cinque mesi, saremo chiamati ai seggi per il rinnovo del parlamento europeo: i 720 membri di quell’assemblea avranno un peso decisivo sulla qualità delle nostre vite e le sorti dei nostri risparmi.
Il pericolo è arrivare al 9 giugno con una percezione sbagliata del significato di quell’appuntamento. E non sarebbe la prima volta che succede con un’elezione europea. Già ora, tutto spinge in questa direzione. È evidente, infatti, che quello scrutinio avrà un profondo significato nazionale. Sarà inevitabile leggerlo come un referendum su Giorgia Meloni, una sorta di elezione di metà mandato, nella quale gli italiani daranno il loro voto alla premier ed al modo in cui ha governato nei venti mesi precedenti. Specularmente, sarà un verdetto sulla leadership di Elly Schlein, sulla direzione che la segretaria del Pd ha impresso al partito contro il volere di tanti dirigenti. Accadrà comunque, sia se Meloni e Schlein si terranno fuori dalle liste elettorali, sia – a maggior ragione – se decideranno di partecipare alla sfida in prima persona.
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Il voto col sistema proporzionale, l’unico in grado di fornire il peso reale di ogni partito, scatterà anche una fotografia esatta dei rapporti di forza all’interno delle coalizioni. Dirà quanto valgono Lega e Forza Italia rispetto a Fdi e chi, tra Schlein e Giuseppe Conte, avrà il diritto-dovere di rappattumare l’opposizione in vista delle prossime elezioni politiche.
E per la segretaria del Pd, in caso di disastro, sarebbe la sentenza anticipata e finale, che la costringe a lasciare la guida del partito ad Antonio Decaro o a Paolo Gentiloni.
IL PREZZO DEL “GREEN” - Insomma, il voto europeo è destinato ad essere ancora una volta “italianizzato”. E se fosse tutto qui, gli elettori, nemmeno due anni dopo un voto delle Politiche del quale non si sono pentiti (tutti i sondaggi confermano, anzi rafforzano la tendenza emersa quel giorno), avrebbero una buona ragione per tenersi lontani dai seggi. Se a Roma le cose mi vanno bene come stanno, se non devo mandare segnali sul fronte interno, perché devo tornare a votare?
Sarebbe un errore. Ed è qui che quel regolamento sulla rottamazione delle automobili, proposto dalla Commissione di Ursula von der Leyen al parlamento e al consiglio Ue, torna utile: perché ci mostra qual è la vera partita. Come hanno già fatto la direttiva sulle “case green” ed altri provvedimenti, figli della stessa logica costruttivista che pretende di imporre, in nome dell’«economia circolare», della decarbonizzazione e degli altri imperativi etici di inizio millennio, spese che pochi individui si possono permettere, e che non farebbero mai se gli Stati o gli organismi sovranazionali li lasciassero liberi di scegliere.
La norma secondo cui «può essere considerato tecnicamente non riparabile» un veicolo che perde liquido antigelo dal radiatore o acido dalla batteria, oppure ha i freni «eccessivamente usurati», illustra bene il livello di follia dirigista dei legislatori europei e gli interessi da cui sono mossi.
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Un dossier della Camera dei deputati, pubblicato poche settimane fa, ricorda quali sono stati i «portatori di interessi» consultati dalla Commissione: i rappresentanti dell’industria automobilistica, i settori della demolizione e del riciclaggio, le Ong ambientali, le autorità pubbliche. Tutti, per le ragioni che è facile intuire, favorevoli ad un irrigidimento delle norme. Mancavano, tra gli interpellati, le vittime sacrificali: gli automobilisti, che probabilmente nemmeno avrebbero potuto essere convocati, visto che non dispongono di associazioni di categoria e di agenzie di lobbying a Bruxelles.
NUOVI EQUILIBRI - Se ne esce in un solo modo: spostando a destra la rotta dell’Unione europea. Non è un caso che la direttiva “green” disegnata dal socialista olandese Frans Timmermans, che avrebbe costretto i proprietari di immobili a ristrutturazioni insostenibili, sia stata fortemente ridimensionata quando la “maggioranza Ursula” è saltata ed una parte consistente dei popolari europei ha smesso di fare squadra con i socialisti per formare una maggioranza di blocco con i gruppi di destra. La strada è questa. E i segnali che vengono dai sondaggi nei ventisette Stati in cui si voterà a giugno sono buoni. $ quasi impossibile che nella prossima legislatura europea si crei una maggioranza senza i socialisti, ma è molto probabile un loro ridimensionamento. E ci sono tutti i presupposti affinché l’alleanza su cui poggia la Commissione si apra ai conservatori, o almeno a una parte di loro, e che le famiglie europee cui appartengono Forza Italia, Fdi e Lega possano formare, quando necessario, un blocco in grado di fermare le future proposte liberticide intrise di verde. Perché accada, però, bisognerà votare, e quindi non pensare a ciò che sta andando bene a Roma, ma a quello (ed è tanto) che a Bruxelles non va e deve essere cambiato.