Mario Draghi contro l'Ue: "Quelle norme una sciagura per l'economia"
Tornare al Patto di Stabilità sarebbe «il peggior risultato possibile». Lo scenario paventato da diversi esponenti del governo italiano, e che si materializzerà se gli Stati Membri non troveranno un accordo sulla riforma delle regole europee sui conti pubblici entro la fine dell’anno, fa tremare i polsi anche a Mario Draghi, che affida le sue preoccupazioni a un articolo scritto per l’Economist. «L’Europa deve ora affrontare una serie di sfide sovranazionali che richiederanno ingenti investimenti in tempi brevi, tra cui la difesa, la transizione verde e la digitalizzazione» premette l’ex premier. Tuttavia, siccome l’Ue «non dispone di una strategia federale per finanziarli, né le politiche nazionali possono assumerne il ruolo, poiché le norme europee in materia di bilancio e aiuti di Stato limitano la capacità dei Paesi di agire in modo indipendente», per l’ex numero uno della Bce c’è il «serio rischio» che l’Europa non raggiunga gli «obiettivi climatici» che si è data.
PERICOLI
Il pericolo, inoltre, è che in questo modo non venga nemmeno garantita la «sicurezza richiesta dai suoi cittadini» e che si perda la «base industriale a vantaggio di regioni che si impongono meno vincoli». Il riferimento è alla Cina e, ovviamente, agli Stati Uniti, dove l’amministrazione Biden ha varato un massiccio piano di sussidi, l’Inflation Reduction Act, da 370 miliardi di dollari proprio per sostenere la produzione nazionale di componenti indispensabili alla transizione ecologica. Ed ecco il motivo per cui «tornare passivamente alle vecchie regole fiscali, sospese durante la pandemia, sarebbe il peggior risultato possibile». Un appello, quello di Draghi, affinché l’Ue evolva verso un vero e proprio Stato federale. Si tratta, insomma, di costruire quell’unione fiscale che, soprattutto i Paesi del Nord Europa, a cominciare dalla Germania, non hanno mai voluto. Serve dunque, sottolinea Draghi, «maggiore condivisione di sovranità».
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«Progettato esplicitamente per escludere i trasferimenti fiscali», ricorda l’ex governatore Bce, «il blocco valutario era considerato da molti economisti destinato a fallire» ma che, «grazie a soluzioni provvisorie», «è sopravvissuto alla crisi esistenziale del 2010-2012». Eppure, prosegue Draghi, «le prospettive di un’unione fiscale nella zona euro stanno migliorando, perché la natura della necessaria integrazione fiscale sta cambiando». Non si tratta più, infatti, di realizzare un’unione caratterizzata da «trasferimenti dalle regioni prospere a quelle che attraversano una crisi economica», soluzione che continua a scontare «un’opposizione feroce». Questo tipo di politica federale di «stabilizzazione», ci tiene a precisare l’ex premier, «è diventata meno rilevante».
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Da un lato perché «la Bce ha sviluppato strumenti per contenere la divergenza immotivata tra i costi di indebitamento dei Paesi più forti e più deboli», mostrando «la volontà di usarli». Dall’altro, prosegue Draghi, l’Europa non ha più di fronte a sé «crisi causate da politiche sbagliate in particolari Paesi» ma «deve confrontarsi con shock comuni e importati, come la pandemia, la crisi energetica e la guerra in Ucraina». Tutto questo, insomma, determina una minore opposizione a soluzioni fiscali comuni, come dimostra del resto l’istituzione del Next Generation Eu, il piano da 750 miliardi di euro che finanzia i Pnrr nazionali. L’intervista di Draghi si inserisce nel dibattito sulla riforma del Patto di Stabilità, con i negoziati tra i Paesi che riprenderanno all’Ecofin del 16 settembre. Ieri sul tema è intervenuto anche il ministro dell’Economia spagnolo, Nadia Calvino. «Uno degli elementi che sicuramente verranno discussi» ha dichiarato il membro del governo di Madrid (a cui spetta la presidenza di turno dell’Ue), «è come garantire che gli investimenti strategici di cui l’Europa ha bisogno siano intrapresi e sostenuti nel nuovo quadro fiscale». Una posizione in linea con la proposta italiana di scorporare alcune spese dal deficit. Anche l’Ocse ha ribadito l’importanza di arrivare rapidamente a una revisione delle regole. La proposta della Commissione, si legge in un report, «è un passo nella giusta direzione».