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Mario Draghi, Sallusti: se anche l'ex premier ha dubbi sulla Ue

Alessandro Sallusti
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Parla raramente, ma quando capita le sue parole vengono passate al setaccio in cerca di indizi utili a capire l’aria che tira nelle segrete stanze. E così è successo anche ieri quando è arrivato in Italia il discorso scritto da Mario Draghi per l’annuale conferenza del National Bureau of Economic di Cambridge nel Massachusetts. Tema: il futuro dell’Unione europea. Svolgimento: “Dobbiamo cogliere l’occasione per ridefinire l’Unione Europea, la sua struttura fiscale e il suo processo decisionale per renderli più adeguati alle sfide che ci troviamo davanti (...) abbiamo immediato bisogno di regolamentazioni che permettano di reagire agli shock locali e nazionali”.

Ovviamente il discorso di Mario Draghi è stato assai più lungo e articolato ma il cuore del suo pensiero è che va cambiata, e pure rapidamente, l’architettura del governo europeo pena la paralisi o addirittura l’implosione dello stesso. Ora, non è che improvvisamente l’ex premier si sia convertito all’antieuropeismo o addirittura al sovranismo. No, Draghi vuole più Europa ma prende atto che bisogna ammettere di aver sbagliato strada perché rispetto ai tempi della sua fondazione il mondo è cambiato e chi sostiene l’inverso è in pericolosa malafede.

 

Sarebbe da stupidi arruolare Mario Draghi in uno schieramento di partiti, ma certo l’analisi e la ricetta Draghi non coincidono con quelle della sinistra e appaiono invece assai vicine a quella della destra conservatrice non estremista che non da oggi denuncia, certo con toni diversi, gli stessi problemi e suggerisce soluzioni che vanno nella stessa direzione. Giorgia Meloni in merito non pare avere dubbi: o si ha la forza di cambiare i trattati europei oppure nessun Paese si illuda di poter risolvere da solo i non pochi problemi, in campo economico ma non soltanto, con cui ha a che fare tutti i giorni.

Con colpevole ritardo pare stia cadendo il tabù dell’inviolabilità dell’attuale Unione Europea rimasta sorda pure al grido di allarme lanciato nel 2016 dai cittadini del Regno Unito che in un referendum decisero per la Brexit. E che ancora ieri si è intestardita a varare una folle politica ambientalista che penalizza gli agricoltori e la filiera alimentare. C’è da augurarsi che siano gli ultimi colpi di coda di un mostro che dal prossimo anno, con le elezioni Europee, potrebbe davvero cambiare pelle.

 

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