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Christine Lagarde testarda, come sta ostacolando la crescita

Giancarlo Mazzuca
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Quando all’inizio dell’anno avevo chiesto ad Antonio Patuelli, presidente dell’Abi, cosa ne pensasse dei continui rialzi del costo del denaro decisi dalla Banca centrale europea, la sua risposta era stata diplomatica ma anche molto chiara: «L’auspicio è che siano fatte riflessioni ulteriori dalla Bce prima di varare altri aumenti dei tassi». L’ auspicio dei vertici dell’Assobancaria è restato tale: da allora sono trascorsi più di 6 mesi ma Christine Lagarde, presidente della Bce, ha continuato sulla strada dei rialzi. Si è talmente abituata a vivere a Francoforte, sede della Banca, che continua a procedere “sturm und drang”. Eppure le cifre parlano chiaro: i dati che ci riguardano, in particolare inflazione e crescita economica, dimostrano che a parte qualche rallentamento a inizio primavera segnali di ripresa si stanno registrando in vari Paesi e non solo in Italia: bisognerebbe cercare di consolidarli, al di là degli auspici di Roma.

 

 

 

Vallo a spiegare all’Ue (quanto ci manca Draghi alla Bce...) che continua a mettere ostacoli sul cammino del Belpaese: la Meloni aveva appena compiuto qualche passo avanti nell’eterna questione degli immigrati che subito si è ritrovata in trincea anche sul fronte dei tassi d’interesse. L’altro giorno la premier ha fatto bene a criticare aspramente, davanti alle Camere, Lagarde&C sull’attuale politica monetaria europea. Giorgia ha parlato di «semplicistica ricetta» della Bce e di una «cura che si rivela più dannosa della malattia».

 

 

 

Per questo j’accuse c’è chi ha criticato anche in Italia la premier ma lei ha giustamente replicato che quando ci vuole, ci vuole. Resta il fatto che tra Bruxelles e Francoforte siamo continuamente presidi mira: se su un fronte si può intravedere qualche spiraglio di luce, subito se ne apre un altro. Filo-Ue o meno, in questo modo non possiamo andare avanti. Giuseppe Prezzolini scriveva che gli italiani sono ammalati di un certo sentimento supernazionale che li porta a essere i più internazionalisti al mondo. Aveva proprio ragione ma ora dobbiamo cercare di essere più italiani e meno europei: ne va del nostro futuro. 

 

 

 

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