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Auto, l'Italia guida la rivolta contro l'Ue sull'euro 7

Alessandro Gonzato
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Il fronte europeo contrario alla normativa Euro 7 s’allarga. «La proposta», hanno scritto 8 Paesi alla Commissione Ue, «è irrealistica». I Paesi sono Italia, Francia, Repubblica Ceca, Polonia, Romania, Slovacchia, Ungheria e Bulgaria. Il nuovo regolamento, rimanesse tale, si applicherebbe alle auto immatricolate dal primo luglio 2025 e imporrebbe una riduzione del 27% delle particelle rilasciate nell’atmosfera dai freni e dai pneumatici di auto e furgoni (per i camion entrerebbe in vigore dal primo luglio 2027). Ancora più drastico il taglio agli ossidi di azoto, che dovrebbero calare del 35% rispetto alle attuali Euro 6. E anche il particolato degli scarichi delle Euro 7 dovrebbe essere inferiore del 13% rispetto alle Euro 6. Va precisato che la norma non sarebbe retroattiva per le vetture già in circolazione, ma dovesse passare la norma per il settore sarebbe una mazzata.

 

 

 


Gli 8 Paesi (spicca la mancanza della Germania) hanno presentato il documento congiunto alla Commissione. Hanno scritto che «la proposta appare irrealistica e rischia di avere effetti negativi sugli investimenti nel settore già impegnato nella transizione verso l’elettrico. «I requisiti per i nuovi standard di emissione Euro 7», prosegue il testo, «devono essere considerati nel più ampio contesto legislativo Ue. Ci opponiamo a qualsiasi nuova norma sulle emissioni di gas di scarico per auto e furgoni perché distoglierebbe gli investimenti del settore per centrare l’obiettivo del 2035», quando - se le disposizioni rimarranno tali, ma anche qui ci sono accese proteste - non potranno più essere prodotte vetture a benzina e diesel.

 

 

 


Il fronte degli 8 chiede una proroga alle scadenze del 2025 e del 2027, «ed è inoltre fondamentale», sottolinea, «valutare correttamente l’impatto del quadro Euro7 proposto, anche sul comportamento dei consumatori, e garantire che le nuove norme siano realistiche rispetto allo stato dello sviluppo tecnico e come costi-benefici».
Per l’approvazione della proposta della Commissione c’è bisogno del “sì” del 55% degli Stati membri che assommino, però, il 65% della popolazione europea. E il contemporaneo “no”degli 8 Paesi farebbe venir meno il requisito. Il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, ha evidenziato che «tanti Paesi hanno condiviso le posizioni italiane. Si sono aggiunti a noi nel chiedere alla Commissione ragionevolezza e pragmatismo, di agire senza una visione ideologica, ma tenendo conto delle esigenze reali del sistema produttivo». Quanto ai negoziati, ha precisato Urso, «pensiamo che ci siano margini. Credo che la Commissione debba prendere atto che ci sono sempre più Paesi e sempre più parlamentari europei consapevoli dei costi della transizione, e ci chiedono di procedere nel garantire la sostenibilità del sistema sociale produttivo».

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