Giorgia Meloni, perché il futuro della Ue passa da lei
Altro che isolata in Europa. Piaccia o no (e va da sé che alla sinistra non piace per nulla), il futuro assetto dell’Unione passa da Giorgia Meloni. Per meriti suoi, ma non solo. Se oggi chi conta o vorrebbe contare nella Ue s’industria per avere un rapporto privilegiato con lei, è innanzitutto per il suo ruolo di leader dell’Ecr, il partito europeo dei conservatori. Una forza che sarà molto difficile ignorare tra poco più di un anno, dopo il voto per il rinnovo del parlamento europeo. Ovviamente, la tessitura di una trama politica attorno alla presidente del consiglio è più facile se, come è accaduto sinora, il governo italiano lavora bene sul fronte dei conti pubblici e tiene un atteggiamento collaborativo, o di “critica costruttiva”, verso le istituzioni di Bruxelles, non facendo nessuna delle cose “sfasciste” che a sinistra sognavano facesse.
A legare la partita nazionale a quella europea provvede anche il delicato momento del centrodestra italiano. L’entrata dell’Ecr nella prossima maggioranza dell’Unione, oltre che dall’esito delle Europee, dipenderà dall’accordo con il Ppe, il partito dei popolari europei, cui appartiene Forza Italia. A Roma e in altre capitali quest’alleanza già c’è, ma potrebbe diventare qualcosa di più solido se Silvio Berlusconi, d’intesa con la Meloni, dovesse decidere che la sua eredità politica sarà la creazione del Partito repubblicano italiano, l’equivalente di quello che negli Stati Uniti tiene insieme moderati, conservatori e liberisti, nel quale potrebbe confluire anche la Lega. Sinora, assieme ai socialisti, il Ppe ha fatto il bello e il cattivo tempo, tant’è che dalle sue file vengono la presidente della commissione, Ursula von der Leyen, e quella del parlamento, Roberta Metsola.
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Le sigle che appartengono al Ppe, però, arrancano un po’ ovunque, e così ora molti suoi dirigenti sognano che il gruppo Ecr si spacchi e i conservatori “buoni”, come Fdi, si aggreghino ai popolari, isolando i “cattivi” (tale è considerato Diritto e Giustizia, il partito del premier polacco Mateusz Morawiecki). I conservatori, infatti, sono in ascesa, e i loro voti fanno gola. Il cambio di gruppo, però, è un’ipotesi molto difficile, anche perché la presidente di Fdi intende restare dov’è. Più probabile un patto di collaborazione col Ppe, che sarebbe agevolato da un “matrimonio” con Forza Italia.
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L’alternativa è fare entrare tutti i conservatori, guidati dalla Meloni, nella prossima commissione europea. È la strada che coincide con la volontà della leader di Fdi. Nel luglio del 2019, quando la squadra della von der Leyen s’insediò, lo scrutinio dette margini di sicurezza risicati: solo 383 eurodeputati su 733 votarono in favore della commissione. E da allora popolari e socialisti hanno perso punti in molti Paesi: al prossimo giro, non è detto che abbiano i numeri.
Del resto, oggi i conservatori dell’Ecr esprimono il primo ministro in Italia e in Polonia, dove si voterà in autunno e Diritto e Giustizia è in testa ai sondaggi. In Finlandia, dove si è appena votato, stanno per andare al governo assieme ai popolari, e governano in Svezia, dove l’esecutivo del popolare Ulf Kristersson sta in piedi solo grazie al loro sostegno esterno. Potrebbero andare al governo in Spagna con Vox, che già viene dato come possibile alleato del Partido popular dopo il voto di dicembre, e in Grecia, dove si vota a maggio. Tenerli fuori dalla stanza dei comandi potrebbe quindi essere letale per le istituzioni europee.
Tra chi ha capito che l’asse d’Europa si sta spostando a destra c’è la von der Leyen. Che dentro al Ppe ha deluso molti, anche tra i suoi connazionali, e ha poche possibilità di essere riconfermata. Intende però giocarsele, e per questo sta provando a costruire un rapporto personale con la Meloni. La quale ha tutto l’interesse a portare Fdi in maggioranza al posto dei socialisti, ma pensa piuttosto ad affidare il timone della commissione alla Metsola e non esclude di giocarsi la carta Mario Draghi, ammesso che l’interessato gradisca.
A questo progetto oggi si oppone Emmanuel Macron, leader di fatto di Renew Europe, il gruppo “liberal” cui appartiene il partito di Carlo Calenda. Senza di esso, difficilmente popolari e conservatori avranno i numeri per governare. E Renew Europe ha appena presentato l’emendamento con cui il governo Meloni è stato condannato per essersi opposto alla registrazione dei figli delle coppie omogenitoriali: una dichiarazione pubblica di ostilità.
Ma il Macron di adesso, in Europa come in Francia, è lo spettro di quello di qualche anno fa. Se il voto del 2024 confermerà l’andamento fotografato oggi dai sondaggi, una forza secondaria come Renew Europe non potrà impedire che, dopo gli elettori, sterzi a destra anche la maggioranza che guida la Ue. Con buona pace di Macron, e soprattutto dei socialisti.