Casa green, pronta la "rapina" dell'Europa: chi è fregato
La maggioranza è pronta a dare battaglia alla direttiva Ue sulle "case green". Sia la Lega che Fratelli d'Italia hanno infatti presentato due distinte mozioni alla Camera per impegnare il governo ad opporsi in sede comunitaria a quella che Matteo Salvini ha definito come «l'ennesima scelta europea» contro l'Italia. Una posizione tanto più necessaria stando a quello che è trapelato ieri dalle aule di Strasburgo, dove in questi giorni sono in corso i colloqui per raggiungere un testo di compromesso da sottoporre alla Commissione Industria ed Energia del Parlamento Ue che si esprimerà il 9 febbraio. Già, perché la bozza di emendamento con le modifiche concordate dai relatori risulta peggiorativa rispetto alla proposta presentata da Bruxelles, dal momento che prevede di anticipare al 2030 il passaggio alla classe energetica E (invece che alla F), per raggiungere la fascia D, più efficiente, già nel 2033.
CAMBIO DI PASSO
C'è però una piccolo ammorbidimento rispetto al testo precedente: ai Paesi, previa autorizzazione della Commissione e nel limite del 15% del totale degli immobili, è concesso un margine di flessibilità sul percorso per raggiungere i target fissati. «Gli Stati membri» si legge nella bozza, «possono adeguare gli standard minimi di prestazione energetica per gli edifici residenziali e le unità immobiliari, per parti specifiche o particolari sotto-segmenti del loro parco immobiliare, per ragioni che includono la fattibilità economica e tecnica e la disponibilità di manodopera qualificata». In queste situazioni, i governi nazionali possono, entro il primo gennaio del 2026, notificare alla Commissione la propria richiesta di deroga. Come detto, l'esenzione riguarderà al massimo il 15% delle case e sarà temporanea: non potrà infatti applicarsi oltre il 31 dicembre 2034. Ma c'è anche un'ulteriore stretta.
Si gioca tutto su un'espressione, «ristrutturazione profonda», che compare nella direttiva. Si tratta di tutta una serie di lavori elencati nella bozza, come l'isolamento delle pareti, del tetto e del pavimento e la sostituzione degli infissi. Ebbene, mentre nel testo presentato dalla Commissione gli interventi così definiti dovevano mirare a rendere un edificio a zero emissioni soltanto a partire dal 2030, la bozza anticipa la scadenza di tre anni. Dal 2027, pertanto, i lavori che possono qualificarsi in questo modo dovranno azzerare e non solo ridurre l'inquinamento delle abitazioni. Sembra una questione di lana caprina, ma non è così. Infatti, la stessa bozza stabilisce che, entro gennaio 2027, gli Stati membri dovranno adottare «speciali misure amministrative e finanziarie» per incoraggiare tali interventi di «ristrutturazione profonda» negli edifici con prestazioni energetiche peggiori. Insomma, i lavori per ammodernare le case degli italiani dovranno essere più invasivi e, di conseguenza, più costosi.
SALVE LE CASE POPOLARI
Nella bozza c'è poi una deroga per le case popolari. Nel testo si legge che gli Stati membri possono esentarle dagli altrimenti obbligatori lavori di ristrutturazione nel caso in cui questi interventi non risultino «neutri in termini di costi» o comportino «aumenti dell'affitto per le persone che vivono in alloggi popolari». Viene poi prevista una salvaguardia perle famiglie meno abbienti sul fronte sanzioni. Le multe per il mancato raggiungimento degli standard energetici, che al momento non compaiono nella bozza ma la cui introduzione è lasciata alla decisione dei singoli Stati, non dovranno «imporre un onere finanziario sproporzionato ai proprietari di edifici». Inoltre, non potranno essere sanzionati quei proprietari che non sono in grado «di permettersi la conformità (alle regole Ue, ndr) dell'immobile da loro abitato e che è la loro unica proprietà, qualora lo Stato membro lo ritenga giustificato da motivi finanziari».
Questo è, per ora, il documento al centro dei negoziati tra le autorità europee. Certo, non sono escluse modifiche ulteriori, anche perché una volta superato lo scoglio della Commissione Industria, la direttiva approderà, non prima di marzo, alla plenaria del Parlamento Ue dove potrà venire nuovamente emendata. Ma è certo che se dovesse passare il testo attuale per l'Italia sarebbe sarebbe un salasso. Secondo l'Ance, non sono in regola con le nuove norme oltre 9 milioni di edifici su 12,2 milioni. Tutti immobili che andrebbero pertanto ristrutturati. Per il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli, «la direttiva Ue a impone delle scadenze che creano problemi di carattere sociale, urbanistico ed economico». Per Confedilizia, si prefigurerebbe una tensione «senza precedenti» sul mercato delle ristrutturazioni, «una perdita di valore della stragrande maggioranza degli immobili italiani e, di conseguenza, un impoverimento delle famiglie».