Bce, così Lagarde può far saltare l'Italia: Parigi confessa
Il rialzo dei tassi di interesse deciso dalla Bce danneggia di più le imprese italiane che quelle francesi e tedesche. A dirlo non è qualche pericoloso sovranista, magari oggi al governo col disappunto di intellò e benpensanti vari, ma nientemeno che la Banca di Francia (BdF). In un recente studio, gli economisti Maxime Gueuder e Sébastien Ray simulano quanto incidono gli aumenti dei tassi sulle imprese non finanziarie, ovvero escluse banche e assicurazioni, dei quattro Paesi europei più grandi. Il risultato è che a subire gli effetti più pesanti saranno le aziende italiane e, in misura minore, quelle spagnole, che hanno una quota maggiore di debito a tasso variabile e a breve termine rispetto a quelle francesi e tedesche. I dati analizzati dallo studio coprono, a seconda del Paese considerato, una percentuale di debito compresa tra il 49% e il 64% del totale.
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Partendo dal complesso delle passività, divise tra obbligazioni e prestiti bancari, in essere alla fine del 2021, i due economisti BdF, calcolano che, dopo un anno di «forte crescita dei tassi», l'incremento medio degli interessi a carico delle imprese francesi sarà dello 0,7% (0,8% per quelle tedesche), esattamente la metà del +1,4% che si troverebbero invece apagare le aziende italiane (+1,2% quelle spagnole). Insomma, al nostro Paese i rialzi decisi dalla Bce costano il doppio che a Parigi e Berlino. Un impatto ancora più rilevante se si considera che gli interessi pagati in media nel 2021, quando i tassi erano ancora congelati a zero, oscillavano dall'1,6% della Germania all'1,9% della Spagna. Per arrivare a questi risultati, gli autori dello studio delineano due possibili scenari, entrambi basati sull'ipotesi che tutto il debito che arriva a scadenza venga rifinanziato. Il primo, ritenuto «puramente indicativo» dal momento che non considera gli aumenti decisi da Francoforte a partire da luglio, ipotizza che i tassi a breve rimangano al livello fissato al 30 giugno 2022, mentre salgono quelli a lungo termine.
In questo caso, sarebbero avvantaggiate le imprese italiane e spagnole, che si indebitano a breve, mentre ne risentirebbero di più quelle francesi e tedesche. Il secondo scenario, invece, considera un aumento dei tassi di 200 punti base (pari al 2%) tra giugno e dicembre dell'anno scorso. Aumento che è comunque inferiore a quello che si è poi verificato: dal 27 luglio, infatti, la Bce ha alzato i tassi del 2,5%. Questo scenario, definito «più realistico», permette di considerare l'effetto di un'impennata degli oneri per i finanziamenti a breve scadenza oltre che per quelli a lungo termine. «Il costo addizionale» si legge nello studio, è «immediato e anche molto significativo per il debito italiano e spagnolo nella seconda metà del 2022 a causa dell'alta percentuale di prestiti a tasso variabile e a breve scadenza».
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La divergenza tra i quattro Paesi Ue analizzati dovrebbe durare fino a circa il 2024. Dopodiché, i tassi di interesse dovrebbero convergere. Dopo cinque anni dal primo rialzo, l'incremento del costo medio dei finanziamenti per le imprese francesi e tedesche si attesta infatti al 2,3%, contro il 2,5% italiano e il 2,7% spagnolo. Come detto, gli effetti dipendono dalla diversa composizione delle passività dei Paesi analizzati. Mentre in Francia a fine 2021, dove prevale la grande industria, l'83% dei debiti era a tasso fisso (80% in Germania) e il 38% aveva una scadenza superiore ai cinque anni (con un valore medio di 3,5), in Italia soltanto il 47% dei prestiti era a rata bloccata (62% in Spagna) con una durata mediana pari a 2,1 anni (2,6 per Madrid). Inoltre, le imprese francesi risultano molto indebitate: nel complesso 2.506 miliardi di euro (il 38% rappresentato da obbligazioni) contro i 2.266 di quelle tedesche e i 1.249 di quelle italiane.