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Lagarde, che cosa accade quando apre bocca: scenario da incubo
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Che Christine Lagarde avesse qualche problema nel rassicurare i mercati, che è gran parte del suo mestiere, lo si era già capito il 12 marzo del 2020. Pandemia appena esplosa, governi allo sbando, Borse e titoli di Stato nel panico. Lei, dall'alto della sua lunga esperienza maturata prima come ministero dell'Economia francese (2077-2011) e poi come direttore del Fondo monetario internazionale (2011-2019), se ne esce dicendo: «Non siamo qui per chiudere gli spread. Non è la funzione o la missione della Bce». Risultato: il differenziale tra Btp e Bund schizza di 250 punti base e Piazza Affari perde il 16,9%, chiudendo la sua peggiore seduta dal 1998 (Londra e Francoforte -10% e Parigi -11%).
Ma è quest'anno, con l'avvio della stretta monetaria, che la presidente della Bce dà il meglio di sé. Dopo aver passato gli ultimi mesi del 2021 a rassicurare l'Europa che l'inflazione sarebbe stata temporanea, a inizio 2022, seguendo i passi falsi della Fed, che si è mossa con identico ritardo sulla base di previsioni sul carovita altrettanto sbagliate, si accorge che la situazione sta precipitando e inizia a studiare il modo di intervenire. Parte da qui una girandola di confusi e minacciosi annunci sulla necessità di chiudere gli acquisti di titoli di Stato e di mettere subito dopo mano ai tassi che manda in tilt i mercati. Per il primo atto concreto bisogna aspettare luglio. La Fed nel frattempo ha già rialzato i tassi tre volte, nel tentativo di recuperare il tempo perduto. Lei si lancia all'inseguimento, fregandosene della natura completamente diversa della dinamica inflazionistica europea (dovuta principalmente ai prezzi delle materie prime e ad una carenza di offerta) rispetto a quella americana. Il 21 luglio il costo del denaro, dopo 11 anni di tassi zero, viene portato allo 0,50%. Lo spread italiano, malgrado la presenza di Mario Draghi a Palazzo Chigi, inizia a salire e le borse a scendere.
Non tanto per la stretta in sé, quanto per la confusione generata. Prima annuncia un formidabile scudo anti-spread, poi spiega che lo strumento ancora non esiste né esistono criteri oggettivi per farlo scattare: il suo utilizzo resta "interamente nella discrezionalità" della Bce. Quanto ai tassi, all'orizzonte c'è sempre l'obiettivo di un'inflazione intorno al 2%, ma sull'entità e sul numero di ulteriori rialzi regna il mistero. A settembre arriva un'altra botta di 0,50%. E a ottobre, con la Lagarde ormai ostaggio dei falchi, una stretta dello 0,75%. A quel punto la presidente svela la sua strategia: le decisioni future saranno prese sulla base dei dati «riunione dopo riunione». In altre parole, si naviga a vista. È di poche settimane fa l'ultima bravata. Il 15 dicembre i tassi vengono portati al 2,5%, come previsto. Ma per aggiungere un po' di pepe la Lagarde prima polemizza con l'Italia, dicendo che deve approvare il Mes, poi spiega che non è finita e che lo 0,5% di aumento non rappresenta l'inizio di una frenata. Risultato: la Borsa crolla del 3,5% e lo spread torna ampiamente sopra i 200 punti (dov' è ancora), livello che non vedeva dalla fine di ottobre, subito dopo la formazione del governo.
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