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Dom Pérignon sparito dai supermercati, un disastro per lo champagne: ecco cosa sta succedendo

Dino Bondavalli
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A lanciare l'allarme sono stati i Vigneron, i piccoli e medi produttori francesi che un po' in tutte le principali zone vitivinicole d'oltralpe - dalla Borgogna alla Champagne - stanno avendo difficoltà a imbottigliare i propri vini e a immettere sul mercato le ultime annate. Ma la carenza di bottiglie in vetro, già emersa a inizio anno a causa dei rincari spaventosi dei costi dell'energia e delle materie prime, e poi ulteriormente aggravata dalla guerra in Ucraina, sta interessando anche le aziende più grandi. E non sta risparmiando nemmeno le Maison più quotate, che per i propri prodotti di punta utilizzano spesso contenitori fuori standard.

 

 


TEMPESTA PERFETTA
Dalla Francia all'Italia, dalla Spagna alla Germania (quarto Paese per produzione di vino in Europa, ndr), il comparto vitivinicolo europeo è, infatti, travolto da una tempesta perfetta. E se all'inizio il problema sembrava essere quello dei costi, con la quotazione delle bottiglie in vetro cresciuta del 30% negli ultimi 6 mesi e destinata ad aumentare ulteriormente a giugno, con il passare dei mesi e l'esplosione del conflitto in Ucraina il vero tema è diventato quello della difficoltà delle vetrerie europee di soddisfare la domanda. «La questione riguarda soprattutto le qualità speciali e quelle fuori standard», conferma Chiara Soldati, rappresentante di Federvini e amministratore delegato dell'azienda piemontese "La Scolca". Complici il fatto che due grandi vetrerie che operavano in Ucraina si sono fermate, che in Europa molte piccole vetrerie hanno sospeso la produzione per non lavorare in perdita a causa dei costi dell'energia e che la forte ripresa delle vendite di vino nel 2021, dopo l'annus horribilis 2020, ha esaurito tutte le scorte che erano presenti nei magazzini, le bottiglie più esclusive sono in molti casi introvabili.

 

 


Questo spiega perché i problemi di distribuzione non interessino solo i prodotti delle aziende più piccole, inclini a programmare gli ordini con meno anticipo rispetto alle realtà più strutturate, ma anche alcuni vini di lusso e qualche grande champagne, la cui carenza ha contribuito a far lievitare i costi al pubblico, talvolta anche raddoppiati rispetto al periodo pre Covid. Ma non finisce qui. Perché se le bottiglie rappresentano la maggiore criticità, con attese per soddisfare gli ordini che arrivano anche a superare i tre mesi, il tema riguarda «tutti quelli che noi consideriamo costi secchi: vetro, tappi, etichette, cartoni, capsule e gabbiette», sottolinea Paolo Castelletti, segretario generale dell'Unione Italiana Vini. «Purtroppo si arrivava da una situazione Covid con poco o niente a magazzino, cui è seguito un 2021 importante, che ha messo sotto forte pressione un po' tutto il sistema. Se a ciò aggiungiamo che le vetrerie sono aziende energivore e che anche la silice per fare il vetro è aumentata, il quadro si fa oggettivamente preoccupante». Il riferimento non è solo ai ritardi nell'imbottigliamento, per i quali sia in Francia sia in Italia è già scattato l'allarme perché non riuscire a imbottigliare la vendemmia 2021 significa perdere commesse, clienti e fatturato, e perché per poter accogliere la vendemmia 2022 è necessario liberare i serbatoi da quella precedente, ma anche alla competitività dei vini europei all'estero. Mentre nel Vecchio continente le aziende fanno i conti con costi impazziti e difficoltà di approvvigionamento, altrove il quadro è decisamente più fluido.


RINCARI
«Le aziende non possono assorbire tutti questi rincari, ma è chiaro che così rischiamo di non tenere un'adeguata competitività con il resto del mondo», sottolinea Chiara Soldati. I nostri competitor si avvantaggiano, infatti, del fatto che un aumento dei costi secchi anche solo di 12-15 centesimi a bottiglia può far la differenza tra firmare o meno un contratto. Di questo passo, anche in vista di un 2023 che promette di essere caratterizzato dai medesimi problemi, «uno dei rischi potrebbe essere dover arrivare a un cambiamento dei packaging, almeno su alcuni segmenti di mercato», ammette Soldati. Un'ipotesi, quella del ricorso al Tetra Pack o a soluzioni simili, che «non riguarda i vini a denominazione di qualità, per i quali il vetro resta il packaging di riferimento», ma che dà comunque la misura di quanto sia critica la situazione. 

 

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