Marine Le Pen davanti a Macron, panico a Palazzo: "E' la fine dell'Unione europea"
C'è una variabile nelle sorti della guerra che si è aperta fra Occidente e Cremlino che gli analisti non tengono in debito conto. Anzi, tendono a rimuovere. La si potrebbe chiamare la "variabile F", ove la F sta per Francia. È infatti Oltralpe che, nel giro di due settimane, gli elettori decideranno se riconfermare Emmanuel Macron all'Eliseo oppure far convergere la maggioranza del loro voto su chi lo sfiderà al ballottaggio, poco importa che sia Marine Le Pen (come è altamente probabile) o Eric Zemmour (che ancora ci spera). Sia beninteso, Macron, col suo appello alla lotta contro tutti gli "estremismi", e anche con il ruolo di mediatore che ha provato a ritagliarsi nel conflitto, è ancora in vantaggio nelle intenzioni di voto dei francesi. Il suo margine tuttavia, secondo i sondaggisti, si è ridotto così tanto da non potersi affatto escludere la sorpresa dalle urne. In tal caso, non si tratterebbe di un semplice avvicendamento di governo, come tanti ce ne sono stati in passato nelle nostre democrazie, ma di un vero cambio di paradigma, culturale prima che politico. Una novità che non potrà non avere ripercussioni a catena anche a livello internazionale.
A suo modo, quella che divide i francesi è oggi una "guerra culturale", al pari di quella che si è generata come effetto indotto dopo l'invasione russa dell'Ucraina. Non che Putin e Le Pen stiano conducendo la stessa battaglia: questo lasciamolo dire ai faziosi giornali di sinistra. Che però il terreno si sia spostato sulla conferma o disconferma, nell'un caso di un intero sistema di potere e nell'altro di un consolidato sistema di alleanze fra Stati, mi sembra del tutto evidente. Se vincesse Le Pen, la critica, per molti versi sacrosanta, alla "cultura dell'Occidente" fatta dall'interno si salderebbe con quella esterna e strumentale di Putin. A quel punto ci sarebbe un immane compito che, come destra tutta, ci spetterebbe: denunciare questa strumentalità e distinguere il nostro eurocriticismo da quello di chi vuole semplicemente affermare la sua potenza sul Continente. Ne saremo capaci? Ne sarà capace la Le Pen, che pure in questi anni ha compiuto una radicale revisione delle idee del vecchio Fronte Nazionale?
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La vittoria della destra vedrebbe spezzarsi poi l'asse che tiene a livello europeo da sempre unite Francia e Germania. Senza questo "motore" l'Unione potrebbe reggere? Potrebbe la Germania continuare a dare la linea all'europeismo da sola, anzi in evidente dissidio con l'altro Paese forte del sistema comunitario (nonché unica potenza nucleare)? E soprattutto, sarà questa l'occasione per far ripartire su nuove e più democratiche basi il progetto europeo, coordinandolo con le necessarie sovranità nazionali, o vedremo rispolverare quei sogni di grandeur e quella voglia di far da sola che fanno parte da sempre dell'anima francese? Una Europa divisa farebbe sicuramente il gioco di Putin, e chiamerebbe l'America ad esporsi ancora di più in prima persona nella guerra. Ma non è detto che sia un esito scontato.
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Se la Le Pen decidesse di giocare il ruolo di mediatrice, il Cremlino potrebbe anche individuare in lei, nel suo profilo da "equidistante", la persona giusta che lo tragga d'impaccio e gli permetta una decorsa exit strategy. Il ruolo della Francia ne uscirebbe esaltato e la stessa America potrebbe dire di non averci perso e che la sua intransigenza alla fine ha pagato. Non è dubbio infine che anche in Italia ci sarebbero contraccolpi non indifferenti, ad esempio sul governo Draghi, che tanto ha investito in questi mesi su un rapporto privilegiato con Macron. Più in generale, potrebbe esserci da noi una rivincita del vecchio "sovranismo". Sarebbe però un tragico errore se ci si illudesse di poter rimettere semplicemente le lancette dell'orologio indietro di qualche anno. Oggi la destra deve finalmente dimostrare non solo di aver visto giusto in passato con le proprie critiche al sistema, ma anche di essere diventata finalmente una matura e seria forza di governo.