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Quirinale, il piano della Ue per imporre Paolo Gentiloni presidente: la trama che coinvolge Enrico Letta

Antonio Socci
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In natura ci sono delle costanti come la velocità della luce o - più terra terra - fenomeni naturali ovvi come la neve d'inverno e il caldo d'estate. Deve appartenere a una legge di natura anche il sesto senso del Pd per il potere e bisogna riconoscere alla sua classe dirigente un'abilità davvero straordinaria nel mantenerlo. Infatti qualunque cosa succeda, in un modo o nell'altro, salta fuori la soluzione che vede il Pd insediarsi al potere. Lo dimostra la storia. Da circa 15 anni il Pd non vince le elezioni, eppure sta (o comunque torna) sempre al potere. Stavolta c'è un passaggio complesso. Il Pd vuole riuscire ad ogni costo ad eleggere un suo esponente o al Quirinale o a Palazzo Chigi, pur non avendo i numeri perché l'attuale Parlamento deriva dalle elezioni del 2018 in cui questo partito precipitò al minimo storico. Le condizione di partenza sono molto ardue per il Pd, e solo per possibili errori del centrodestra potrà farcela pure stavolta. Infatti ci sono tre dati di fatto da tenere presenti.

 

 

Il primo è la fine del mandato presidenziale di Sergio Mattarella che - nonostante i desideri del Pd - ha del tutto escluso di restare al Quirinale per un secondo mandato (ma può darsi che provino fino all'ultimo a convincerlo). Poi bisogna tener conto che da decenni il presidente della Repubblica è stato indicato dalla Sinistra e mai dal centrodestra che stavolta ha un numero di grandi elettori - 451- superiore alla parte avversa e ambisce, finalmente e legittimamente, a indicare per la prima volta il nome del presidente da eleggere. Il terzo elemento da considerare è Mario Draghi, ovvero un Capo del governo molto forte, che non appartiene al Pd e neanche ne dipende. Sommando questi tre dati, tutti sfavorevoli al partito di Enrico Letta, sembrerebbe naturale andare verso un nuovo assetto della repubblica dai cui vertici, per la prima volta, il Pd sarebbe assente, cosa che è - per questo partito - assolutamente inconcepibile. Per evitare una tale sciagura il segretario del Pd ha lucidamente individuato la sua strategia e ha azzeccato le prime due mosse.

 

 

TROPPE PRETESE
La prima consiste nel porre il veto sulla candidatura di Berlusconi avanzata dal centrodestra. Certo, traspare in questo veto la vecchia e arbitraria pretesa della Sinistra di definire "chi può" e "chi non può" andare al potere, ma bisogna riconoscere che Letta, in questo caso, ha la possibilità di ribattere che il nome per il Quirinale, anche se proveniente da una parte, deve avere un profilo e un consenso ecumenico. È pur vero che il Pd in passato non ha applicato questo requisito ai nomi che ha indicato, ma va riconosciuto che Letta non ha posto un veto a priori a qualunque nome del centrodestra, ma solo a quello del Cavaliere ritenendolo troppo divisivo perché storicamente leader e fondatore di una delle due parti in campo. Con questo veto di Letta il centrodestra sembra essere paralizzato perché non ha un "piano B" e - non potendo contare sul consenso generale nelle prime votazioni- deve cercare dopo di raggranellare i voti per Berlusconi senza Pd, M5S e Sinistra. Impresa difficile. La seconda mossa azzeccata da Letta è la decisione di "mettere il cappello" sul nome di Draghi per il Quirinale. L'attuale premier infatti è il candidato che ha il maggior consenso nel Paese e quello a cui è difficile dire no per i partiti dell'attuale maggioranza.

 

 

UNITÀ NAZIONALE
Con l'elezione di Draghi si aprirebbe un problema che per il Pd sarebbe un'opportunità, perché non sarebbe possibile rifare un esecutivo di unità nazionale senza la sua guida e così si rischierebbero le elezioni anticipate che la maggior parte dei parlamentari vede come la peste. Inoltre - a quanto pare - sarebbe un problema la gestione del Pnrr nel caso in cui venisse meno il governo Draghi. Ma qui arriva la terza astuta mossa di Letta che - nelle sue intenzioni - riuscirebbe, in un colpo solo, a risolvere tutte queste incognite e a riportare il Pd a Palazzo Chigi dando scacco matto al centrodestra che resterebbe con un palmo di naso fuori da tutto. Quale può essere questa terza mossa si è capito ieri. Sulla "Stampa" infatti è trapelata la notizia secondo cui "l'Europa" (nome dietro a cui stanno soprattutto certi governi forti d'oltralpe) sarebbe preoccupata da una futura instabilità italiana e per non mettere a rischio i fondi del Pnrr, pure in vista della revisione del patto di stabilità, si sentirebbe "garantita" da un nome come l'attuale commissario europeo Paolo Gentiloni.

CI STAREBBE PURE RENZI
Gentiloni il Pd, Capo è stato già, per del governo. Il suo fu un esecutivo assai grigio, che appartiene al novero dei governi Pd sempre prontissimi a compiacere la cosiddetta "Europa". È quindi plausibile che da Bruxelles possano sponsorizzare il suo nome. Oltretutto il Partito democratico potrebbe presentarlo come istituzionale (in quanto commissario europeo) e al tempo stesso politico, essendo un nome che avrebbe anche il consenso di Renzi, suo amico, e perfino di qualche altro gruppuscolo centrista. Riuscire così a riprendersi il governo (ricacciando il centrodestra all'opposizione) e a gestire i fondi europei, avendo peraltro al Quirinale una garanzia internazionale come Draghi, sarebbe il capolavoro politico di Letta. Il centrodestra sarà capace di far saltare questo disegno? 

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