Unione europea, i muri anti-migranti? "Un diritto, ma non a spese nostre". Un suicidio politico
La giornata nera dell'Unione europea. Dodici Stati membri chiedono stanziamenti di fondi per finanziare muri anti-migranti, nel tentativo di sbarrare la via alla prevista ondata migratoria dall'Afghanistan finito di nuovo in mano ai talebani. E Bruxelles che fa? Sulla carta, il "continente dell'accoglienza" (sempre sulla carta) dovrebbe respingere la richiesta, ma da perfetta Unione-che-non-c'è accetta senza tuttavia accogliere la richiesta. Un bel paradosso, ma è andata di fatto proprio così.
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"Bisogna rafforzare la protezione dei nostri confini esterni, alcuni Stati membri hanno costruito recinzioni e strutture di protezione e ne hanno il diritto. Se occorre utilizzare i fondi Ue per fare questo, devo dire no", ha spiegato la commissaria Ue agli Affari interni, Ylva Johansson, al termine del Consiglio Ue, rifiutando di concedere soldi ai dodici. Delle due, l'una: se il contenimento dell'immigrazione irregolare è una emergenza, l'Ue dovrebbe aiutare i propri Stati membri. Se non lo è, sarebbe stato lecito prevedere una "condanna", o comunque una critica a quanto sta accadendo ai confini dell'Unione. Invece, come spesso accaduto anche in Mediterraneo, l'unica decisione possibile è non decidere, come accaduto spesso negli anni scorsi nel Mediterraneo.
Il caso era stato sollevato in mattinata da una lettera indirizzata alla Commissione europea da 12 Stati membri, una sorta di "Visegrad allargata": a chiedere l'intervento (e i soldi) di Bruxelles sono stati Lituania e Lettonia, e poi Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia, con l'aggiunta di Austria, Estonia, Danimarca, Bulgaria, Cipro e Grecia. "Se ben 12 Paesi Europei con governi di ogni colore chiedono di bloccare l'immigrazione clandestina, con ogni mezzo necessario, così sia. L'Italia che dice?", ha chiesto polemicamente Matteo Salvini, leader della Lega.
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Al caso "muro" si aggiunge il "caso Polonia". Secondo la Corte Costituzionale di Varsavia alcuni articoli dei Trattati Ue sono "incompatibili" con la Costituzione polacca, e le istituzioni comunitarie "agiscono oltre l'ambito delle loro competenze". In altre parole, la legge polacca dovrebbe prevalere su quella comunitaria. Secondo molti, l'antipasto della Polexit, anche se il governo conservatore polacco ha ribadito la ferma volontà di restare nell'Unione. Di fronte alle proteste delle istituzioni Ue, in Italia Giorgia Meloni va controtendenza: "Fratelli d'Italia la pensa come le Corti costituzionali tedesca, polacca e altre - afferma la leader di FdI -: la Costituzione voluta, votata e difesa dal popolo italiano viene prima delle norme decise a Bruxelles. Perché si può stare in Europa anche a testa alta, non solo in ginocchio come vorrebbe la sinistra". E anche la Lega, per bocca di Claudio Borghi e l'europarlamentare Antonio Maria Rinaldi, esprime vicinanza alla Polonia.