Giorgia Meloni, ecco l'Europa che vuole: pari dignità e regole uguali per tutti, la nuova unione della leader FdI
C'è una Ue che si sente il centro del mondo ma è appena stata mollata per l'ennesima volta dagli Usa, che hanno invaso l'Afghanistan però non si portano oltre Oceano un solo profugo dei milioni che hanno generato. Lasciano che a gestire la patata bollente siano gli alleati del vecchio Continente. Questa Europa, retta dall'asse franco-tedesco e dai Paesi satellite connessi, non ha più testa ora che, dopo le presidenze di Sarkozy e Hollande, è fallita pure quella di Macron e che la Merkel esce di scena senza averne azzeccata più una dalla grande crisi delle banche, dieci anni fa. È l'Unione di Charles Michel, il presidente del Consiglio europeo che si fa umiliare dal sultano Erdogan, di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione, confusionaria sui vaccini e costretta a chiedere scusa pubblicamente per non aver capito nulla del virus, e di David Sassoli, presidente del Parlamento europeo in quota Pd che è riuscito a far più carriera come politico che come giornalista Rai; il che la dice tutta sul livello dell'assise. Poi c'è un'altra Europa, che non vuole passare dalla dittatura di Mosca a quella di Bruxelles e alla quale sta stretto il ruolo di vassalla di Germania e Francia, specie adesso che i due Paesi appaiono esausti.
È quella che ieri ha steso il tappeto rosso a Giorgia Meloni, ospite d'onore in Slovenia al forum sul "Futuro della Ue", in qualità di presidente dei Conservatori Europei. Quando l'Unione scelse di allargarsi impetuosamente a Est pensò a una sorta di colonizzazione politica, Stati da inglobare senza stare ad ascoltarli. È tuttora così. L'eurocrazia di Bruxelles prova fastidio ogni volta che i Paesi dell'Est hanno posizioni politiche autonome. Ha sposato la linea di Ungheria e Polonia solo sui profughi di Kabul, adottando l'idea della Meloni di creare una rete di assistenza e integrazione nei Paesi limitrofi all'Afghanistan, per evitare una transumanza biblica.
NUOVO SCENARIO
Chi considera che non ci sia Europa fuori da Berlino e Parigi, derubrica la missione della presidente dei conservatori a folkloristica perdita di tempo, se non ad autogol, secondo il pensiero che, se non si bacia la pantofola al Reichstag e all'Eliseo, non si conta nulla. I nostri premier si sono sempre profusi nell'omaggio, ricavandone per lo più pedate in faccia. L'unico che si è opposto, dall'alto della presidenza della Banca Centrale Europea dove lo aveva insediato Berlusconi, è stato Draghi, e ancora tutto il continente gliene rende merito. Se oggi Super Mario siede a Palazzo Chigi, è soprattutto grazie al suo "nein" all'austerità tedesca. Chi pensa che, ora che lo scenario mondiale è cambiato, gli Usa si sono ritratti e il presidente della Bundesbank si è già stancato di finanziare con il Recovery Plan la ripresa appena iniziata perché teme che l'inflazione faccia alzare gli stipendi (degli altri), si andrà incontro a un riassetto di equilibri nell'Unione, è persuaso che la tappa slovena della Meloni sia un passo nella sua corsa alla premiership. Lo choc della destituzione di Berlusconi da premier, nel 2011, perché Silvio non voleva sottostare alle condizioni della Germania e spingeva per gli eurobond, e la scelta di sottomissione all'asse franco-tedesco che il Pd ha fatto da lustri, ha convinto politici e osservatori che non si può governare in Italia senza il permesso di Berlino e Parigi, al punto che osare dialogare con altri Paesi e intrattenervi rapporti privilegiati costituisca lesa maestà. La leader di Fdi si pone, nella Ue, in un'ottica del tutto nuova; non antieuropeista ma per un'Europa confederale, dove gli Stati abbiano pari dignità e le regole del gioco siano uguali per tutti. Il futuro dirà se è una scelta vincente o perdente e se l'Unione continuerà a essere un finto cartello di Stati che in realtà pensano solo ai fatti loro. Certo, seguendo l'attuale declivio, la vecchia Europa è arrivata al massimo punto di disgregazione, confusione e irrilevanza della sua storia.