Afghanistan, l'imprenditore Andrea Pasini: "Fuga rassegnata davanti ai talebani, il simbolo dell'Europa fallita"
La rassegnazione di fronte a quello che sta accadendo a Kabul è inaccettabile. L’America, l'Europa, l'Italia e tutto l’occidente hanno dei doveri ai quali non possono sottrarsi, senza venir meno ai valori e ai principi sui quali si fonda la nostra stessa idea di civiltà, di libertà e di dignità della persona
La fuga disordinata alla quale stiamo assistendo in questi giorni in Afganistan e della quale l'Italia non ha obbiettivamente alcuna colpa, ma che ci coinvolge direttamente, rimarrà come una pagina di vergogna per i paesi liberi, ma avrà anche un effetto dirompente sulle credibilità dei paesi occidentali nel mondo.
È doloroso assistere al ritorno di un regime violento e autoritario quando al popolo afgano era stata promessa la libertà. Riprendo le parole espresse dal presidente Silvio Berlusconi che condivido integralmente: “Provoca una stretta al cuore a tutti coloro che credono nell'universalità dei diritti della persona vedere un paese strategico per gli equilibri dell'intera Asia cadere sotto la sfera di influenza dell'integralismo islamico oggi e di Pechino in un prossimo futuro è una grave minaccia per i nostri stessi interessi e per la nostra sicurezza”.
Quanto sta avvenendo in Afghanistan riguarda tutti: "come uomini liberi e come responsabili politici dell'Europa e dell'Occidente". La vicenda, oltre a mettere all'angolo gli Stati Uniti, ha fatto emergere anche l'incapacità dell'Unione europea, che non ha saputo esercitare un vero ruolo politico e militare. Un ruolo che implicherebbe quella politica estera e di difesa comune e quell'esercito europeo che abbiamo tante volte invocato e che non è mai stato creato.
Adesso è ora di impegnarsi dal punto di vista diplomatico ed umanitario, per garantire protezione a tutti coloro che intendono lasciare il Paese. Essere diplomatici, tuttavia, "non significa accettazione passiva della vittoria dei nemici della libertà".
Alle classi dirigenti occidentali si potranno ripetere le parole di Churchill dopo gli accordi di Monaco, che sacrificavano la Cecoslovacchia ad Hitler. Si doveva scegliere tra la guerra ed il disonore. Avete scelto il disonore e avrete la guerra.
Stiamo assistendo alla fine del mondo. O perlomeno di un mondo, l’Afghanistan. Sono bastate poche ore per far cadere Kabul. Il suo presidente, Ashraf Ghani Ahmadzai, è fuggito e i quattro milioni e mezzo di abitanti della capitale sono in mano alle milizie talebane. Una terribile pagina di storia, che ci lascia attoniti e sgomenti.
Tre mesi! Ci sono voluti solo tre mesi per le milizie islamiche per distruggere anni di progresso e spazzare via la Repubblica. Nessun paese alleato si è mosso per contrastarli. Con il campo quasi libero, i talebani sono riusciti a conquistare tutto e cancellare la storia di Kabul. Le immagini drammatiche che si susseguono sulle nostre televisioni non sono nulla in confronto a quello che sta succedendo del paese. Donne e uomini che si riversano all’aeroporto cercando di fuggire, donne la cui identità viene cancellata dai cartelloni pubblicitari forzate nuovamente a indossare il velo. Folle impaurite e disorientate. Ma soprattutto folle di disperati, pronti anche ad agganciarsi a un aereo pur di andarsene da quell’inferno.
La guerra al terrorismo islamico è finita. E purtroppo ha vinto il terrorismo. A quasi 20 anni dal crollo delle Torri Gemelle a New York, possiamo dire con la tristezza nel cuore che non siamo stati capaci di salvare tutte queste persone. Non siamo riusciti a rivendicare tutti quei morti. L’Afghanistan è pronto a tornare ancora una volta il santuario della Jihad, della guerra santa agli infedeli cioè a noi.
«La vittoria e il ritorno dei talebani alla guida del Paese dipende in ultima analisi dalla debolezza delle forze armate, nonostante 2.000 miliardi di dollari stanziati in vent’anni per addestramento ed equipaggiamenti, e dalla mancanza di legittimità delle istituzioni afghane». Nessuna parola fu più vera. La Nato esce a pezzi da questa missione, a cui ricordiamo ha partecipato anche l’Italia.
L’Afghanistan non esiste più. Ora si chiama Emirato Islamico dell’Afghanistan. E ci torna in mente quello che accadde nel 1996, quando i talebani presero per la prima volta il potere in Afghanistan. L’ex presidente Najibullah fu torturato e impiccato, gli uomini obbligati a farsi crescere la barba, le donne a indossare il burqa, le scuole femminili vennero tutte chiuse. Furono istituite le forze di «polizia morale» agli ordini dell’agenzia per la Promozione della virtù e l’eliminazione del vizio. Le donne che uscivano non accompagnate da uomini venivano picchiate per strada. Il calcio e la musica furono banditi.
La sharia divenne legge. Fino al 2001, quando, all’indomani dell’attentato alle Torri Gemelle, gli americani invasero il Paese, perché li si trovava il presunto responsabile degli attacchi terroristici, il temibile Osama Bin Laden.
Ma non dimentichiamo che già prima dell’intervento militare del 2001, gli Stati Uniti a guida Bill Clinton avevano lanciato missili cruise contro l’Afghanistan in risposta agli attentati del 1998 contro le ambasciate Usa di Nairobi e Dar es Salaam.
Una guerra vuota quella in Afghanistan ma piena di denari, armi e droga combattuta per dare una risposta immediata al terrorismo, a tutti gli occidentali che si sentivano attaccati. Per “portare la democrazia”, si disse. Ma che ha generato solo un turbine infinito di fame, distruzione, morte, e altro terrorismo. Tra i militari impegnati nelle missioni internazionali, sono caduti 53 italiani. Il sacrifico di di questi eroi in divisa per difendere la libertà del popolo afgano è stato vano. E a nessuno stato sembra interessare oggi. Semplicemente vergognoso! L’Afghanistan è senza dubbio uno dei più grandi fallimenti dell’Occidente.
Sul fronte internazionale il presidente Usa Biden è stato travolto dalle critiche e accusato di una “disfatta epocale”. “La nostra missione in Afghanistan non è mai stata pensata per costruire una nazione, eravamo lì per combattere il terrorismo” prova a difendersi.
Intanto, il presidente francese Macron ha annunciato l’invio di due aerei militari e di forze speciali. Il ministro degli Esteri italiano, il “nostro” Luigi Di Maio, invece si fa “paparazzare” in spiaggia a Porto Cesareo con il presidente della Puglia Emiliano e l’ex ministro Boccia, e rispettive consorti. La più grande crisi internazionali degli anni duemila si consuma, e il ministro degli Esteri pensa di gestirla al telefono dal bagnasciuga.
E adesso? Cosa succederà? Ciò che balza agli occhi subito è l’assenza di una strategia comune. Vedremo cosa uscirà dal Consiglio di sicurezza Onu e la riunione straordinaria dei ministri degli Esteri Ue. Ma, sottolinea l’ISPI, “se l’obiettivo è quello di compattarsi contro un riconoscimento del governo che i talebani si apprestano ad annunciare, potrebbe essere già troppo tardi”.
Intanto la Cina, che con l’Afghanistan confina, ha già fatto sapere di rispettare il diritto del popolo afghano a determinare in modo indipendente il proprio destino ed è disposta “a continuare a sviluppare relazioni amichevoli e di cooperazione”. E ha già iniziato a incontrare l’Iran per discutere degli sviluppi economici futuri.
Secondo gli analisti anche la Russia opterà per un approccio “pragmatico” in chiave anti-terrorismo, con il nuovo governo talebano. D’altronde Pechino ha già detto: “Il ruolo degli Usa è distruggere, non costruire”.
Senza dubbio, ciò a cui assisteremo è una valanga umana di profughi che proverà in ogni modo a lasciare il Paese. Per la quale serviranno, per anni, ancora ingenti aiuti umanitari.