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Ue, l'ultima vergogna: a Erdogan i soldi tolti all'Unghiera di Orban, ma in Turchia i gay non possono sfilare

Giuliano Zulin
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Ieri è entrata in vigore in Ungheria la discussa legge varata dal Parlamento magiaro che vieta l’esposizione e la diffusione di contenuti riguardanti l'omosessualità ai minori. Sappiamo bene come la norma abbia mandato su tutte le furie mezza Europa, spingendo le istituzioni continentali a minacciare di congelare i fondi del Recovery al governo Orban. Sette miliardi che valgono tanto per un piccolo Paese. Eppure la stessa Commissione europea ha staccato già un assegno da tre miliardi in favore di Erdogan, numero uno della Turchia. Ma se parliamo di rispetto dei diritti fondamentali, possiamo affermare serenamente che vivere a Budapest non è come stare ad Ankara o a Istanbul.

 

 

 

Per dirne una: per il settimo anno consecutivo il presidente turco ha negato il Gay Pride. Non solo. Il Sultano da pochi giorni ha lasciato proprio la Convenzione di Istanbul, trattato del 2011 per prevenire e combattere la violenza contro le donne. La Convenzione obbliga i governi ad adottare una legislazione che contrasti la violenza domestica e gli abusi simili, come la violenza coniugale e le mutilazioni genitali femminili. Secondo i conservatori il provvedimento minerebbe l'unità familiare, incoraggiando il divorzio e dando spazio alla comunità Lgbt per essere maggiormente accettata nella società. Nonostante ciò la Ue non batte ciglio di fronte a Erdogan, anzi la presidente von der Leyen decise di sedersi sul sofà e non accanto al presidentissimo turco durante una visita ufficiale che fece fare all'Europa una figura da sottomessa. E sgancia altri miliardi per sostenere progetti legati ai profughi nella penisola anatolica.

 

 

 

 

Al di là di come la si pensi sulle politiche di Orban o della Polonia, anch' essa nel mirino di Bruxelles, per presunte negazioni di diritti ai gay, c'è da sottolineare un altro errore che commette l'Unione europea mantenendo questo atteggiamento politico anti-sovranista: se il premier ungherese non dovesse ottenere i denari che gli permettono di far ripartire il Paese dopo la pandemia, sicuramente li troverà da altri partner. Tipo la Cina, già disponibile a un aiuto di 5 miliardi. Così la Ue agevola l'ingresso del "nemico" in casa, visto che Bruxelles attacca Budapest ma non si sogna di cacciare gli ungheresi dalla Ue. Già, perché non si capisce bene una cosa: se uno Stato dei 27 vìola la cosiddetta carta dei valori, in teoria dovrebbe essere fatto accomodare fuori dalla porta.

Eh no... la Germania, e non solo, ne perderebbe. Perché in fondo l'Ungheria fa comodo alle tante aziende che delocalizzano nella terra di Orban, dove gli stipendi medi non raggiungono i mille euro al mese, ma l'area Schengen (libera circolazione di merci e persone) permette alle grandi imprese di importare ed esportare in tutta tranquillità, incamerando lauti guadagni. Facile fare i forti con i deboli, l'Ungheria. Più difficile farlo con i forti, tipo Erdogan. Il sofà insegna...

 

 

 

 

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