A sentir parlare Donald Trump durante la campagna elettorale, sembrava di ascoltare un bimbo che spiega, con i mattoncini Lego in mano, come costruirà la sua città ideale. Al centesimo giorno di governo, tra una storica partecipazione al Super Bowl e la promozione di una Gold card da 5 milioni di dollari per diventare americani, è sordo a (quasi) tutti tranne che alla propria voce. Non dà più soltanto l’impressione di uno che sposta e poggia i mattoncini dove gli pare: chiuso nella monomania di una nuova Età dell’oro, sta dimostrando che faceva sul serio.
Gli americani usano il termine latino “disruptor” per indicare una persona che fa a pezzi lo status quo, colui che impedisce di continuare come si è sempre fatto, l’innovatore che cambia, e in modo nuovo e efficace, il sistema. «L’amministrazione Trump ha buttato tutte le vecchie certezze in un frullatore e le ha liquefatte», ha scritto Mark Leonard, direttore dell’European Council on Foreign Relations, sul sito web dell’organizzazione.
A fronte delle idee e della rivoluzione in essere - che necessariamente impongono una presbiopia grave per le conseguenze a breve termine, una totale noncuranza verso le critiche e un processo decisionale viziato dalla voglia di aver ragione propria di un uomo come Trump - i cittadini contenti sono meno della metà. L’indice di gradimento del presidente è al 45% secondo un sondaggio del New York Times, al 40% stando ai dati del centro studi Pew Research Center e secondo Washington Post, Abc, Ipsos appena il 39% degli americani lo approva.
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L’unico precedente che non ha goduto dei consensi della maggioranza al traguardo dei cento giorni è stato Bill Clinton, che nell’aprile del 1993 si fermò al 49% di gradimento. Ma è presto per tirare le somme, lo sa bene Biden che vide crollare la sua popolarità dal 59 al 44% nel settembre del 2021, dopo il rovinoso ritiro dall’Afghanistan. Non si riprese più. Il punto non è quanto la corona sia pesante, ma che il collo non si spezzi: vale per tutti i reggenti, a maggior ragione per Trump, il costruttore che ha promesso la liberazione da globalizzazione e finanziarizzazione (causa del rallentamento di investimenti, innovazione e crescita) per erigere un’America prospera e sicura (e quindi con una solida politica industriale ed energetica), dopo la crisi degli oppioidi, la pandemia, la guerra in Europa. Guardiamo alla politica interna.
Ai primi cento giorni ne seguiranno 1.361 e certamente non potranno essere tumultuosi come quelli trascorsi, caratterizzati da ordini esecutivi presidenziali (siamo a 130), lotta all’immigrazione a colpi di espulsioni, mitragliata di dazi del “Liberation Day”, provvedimenti per ridurre le dimensioni del governo federale, smantellamento dell’Usaid (l’agenzia statunitense per la cooperazione internazionale), stop alle politiche di diversità, equità e inclusione (DEI), battaglie in tribunale fino alla Corte Suprema (nel conteggio del Brennan Center for Justice sono almeno 46 i ricorsi legali scattati contro i suoi provvedimenti), congelamento dei finanziamenti alle università dell’Ivy League, revisione del sistema sanitario, riforma fiscale, guerra al fentanyl, esclusione degli atleti trans dalle competizioni femminili, l’inglese lingua ufficiale degli Stati Uniti, ritorno alle cannucce di plastica, cancellazione delle restrizioni federali sulla quantità d’acqua che può scorrere dai soffioni della doccia.
LE COSE SERIE
Ma i due temi volano della vittoria del presidente, immigrazione illegale e inflazione? Con l’ordine esecutivo «Protezione dei confini nazionali e ripristino dell’integrità delle politiche migratorie», l’amministrazione sta combattendo i clandestini con espulsioni (anche con il controverso ricorso all’Alien Enemy Act, legge del 1798 che consente al presidente di detenere o espellere i cittadini di una nazione nemica in tempo di guerra), la costruzione di centri di detenzione temporanea, norme più severe per i visti e le richieste di asilo (stando ai dati dell’Ufficio di Cittadinanza e Servizi per l’Immigrazione il tasso di approvazione è calato al 14%, la metà rispetto al 2024). A marzo il numero di attraversamenti di migranti al confine meridionale, dove sono stati schierati 10mila soldati, è crollato a 7mila (il livello più basso da 25 anni), contro i 47mila di dicembre, ultimo mese dell’era Biden. Nell’incertezza dei dati, il numero di espulsioni è invece diminuito: 12mila persone vennero allontanate nel febbraio 2024, 11mila quest’anno. Inoltre, sono stati tagliati sussidi, sovvenzioni e gli obblighi federali nei confronti degli immigrati, come l’assistenza per compilare le domande di naturalizzazione, i corsi di lingua, i servizi di integrazione. Il tutto nel tentativo di spingere gli irregolari ad andarsene autonomamente.
L’amministrazione sta stilando una lista di numeri di previdenza sociale degli immigrati, cancellando di fatto la possibilità di lavorare o ricevere sussidi. La cittadinanza per nascita, garantita dal XIV Emendamento della Costituzione, è stata abolita con un ordine esecutivo. La questione è ora alla Corte Suprema. L’obiettivo di un milione di espulsioni all’anno è irrealistico, ma l’impatto dei provvedimenti sull’immigrazione è probabilmente storico.
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Inflazione: tra dazi annunciati, messi, tolti, parcheggiati con le quattro frecce, comunque l’inflazione a marzo è scesa più delle attese, al 2,4% (ma era prima del Liberation Day). Il tasso di disoccupazione si attesta al 4,1%. Le uova continuano a raggiungere nuovi record, 6,24 alla dozzina, l’onda lunga dell’influenza aviaria.
La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha parlato delle conseguenze della politica commerciale come una “transizione economica” da condire con la svalutazione del dollaro. Trump ha un’agenda economica che non fa affidamento solo sul protezionismo ma che punta a buoni posti di lavoro e guarda al tasso di crescita della produttività. Comprende il piano “Rebuild America” per le infrastrutture, la modernizzazione della cantieristica navale, il piano per l’industria del carbone (leggi: acciaio e energia per alimentare la produzione di chip e per le infrastrutture di data center che sfamano l’intelligenza artificiale) e, soprattutto, fabbriche sul suolo americano. Tra le ultime, la casa farmaceutica svizzera Novartis ha annunciato impianti negli Usa, Apple prevede di spostare l’assemblaggio di tutti gli iPhone venduti negli Stati Uniti in India già il prossimo anno così da allontanarsi dalla Cina, il gigante taiwanese dei semiconduttori Tsmc, prevede di aumentare gli investimenti statunitensi di 100 miliardi di dollari per tre nuovi stabilimenti, a vantaggio delle aziende di intelligenza artificiale e innovazione tecnologica Made in Usa, come Apple, Nvidia, Amd, Broadcom e Qualcomm.
«L’indipendenza economica ha contribuito a preservare l’Unione nei primi anni della nostra repubblica», diceva Marco Rubio già del 2021, quando era senatore della Florida, «La capacità e la diversità industriale divennero la macchina da guerra che fece pendere la bilancia della Seconda Guerra Mondiale». Ha chiarito Oren Cass, economista del think tank American Compass: «Senza i finanziamenti e i programmi governativi dell’era moderna, non ci sarebbero state la Silicon Valley, nessuna rivoluzione biotecnologica e nessuna Tesla».
A voler guardare i sondaggi, che con Trump hanno già dimostrato di essere affidabili quanto gli aruspici, ce n’è un altro, di Gallup, secondo il quale gli americani soddisfatti della direzione presa dal Paese erano, a inizio aprile, il 34%. Erano il 23% nel 2024 e il 16% nel 2023. Al di là dei prevedibili e cicalanti detrattori, il presidente, accanto al pulsante per ordinare Diet Coke, tenga sulla scrivania un calendario. Le elezioni di Mid term sono a novembre 2026.