Per fortuna, i luoghi hanno la loro storia, e alcune volte anche la loro metafisica. Nel caso della Basilica di San Pietro, l’impasto di terra e cielo è ovviamente amplificato, qualunque cosa accada al suo interno intercetta frammenti di ieraticità, figuriamoci un faccia a faccia tra il leader della più grande potenza mondiale e il capo di una nazione europea che sta lottando per la propria esistenza. Così densamente stratificato di significati, e allo stesso tempo così indiscutibilmente evidente, quel che è successo al funerale di Papa Francesco tra Trump e Zelensky spazza via la mediocre propaganda del mainstream nostrano, è la Storia contro la paturnia ideologica.
Ci hanno provato, eccome se ci hanno provato, e scommettiamo seguiti a provarci qualche analista del bar radical sui giornali di stamattina: vertice a quattro in San Pietro, Meloni esclusa (per costoro, l’ossessione di fronte a qualunque accadimento è trovare il risvolto negativo in direzione Palazzo Chigi). E allora via alla frottola del colloquio allargato a Macron e Starmer nel tempio della cristianità, una frottola doppia. Anzitutto, il momento di confronto col leader ucraino è stato favorito dalla presidente del Consiglio, come ha riportato anche il Corriere della Sera, per cui il ruolo italiano è stato attivo a monte. Ma soprattutto, osservando il video della scena epocale, il film è l’opposto di quel che hanno tentato di montare le anime belle.
Abbozziamo una sorta di Var della Storia in corso d’opera (ma lo svolgimento è chiarissimo anche a una prima visione cronachistica). Trump e Zelensky si stanno già staccando da tutti con passo deciso per andare a sedersi, quando vengono affannosamente raggiunti dal presidente francese, con il pretesto di una stretta di mano. Macron saluta entrambi, poi fa chiaramente cenno di dirigersi con loro verso le sedie predisposte (tanto che le indica pure). Trump gli rimane davanti e gli fa anche un segno con la mano di fermarsi, sempre ostentando cortesia ma senza concedere spazio o arretrare di un millimetro. Tanto che a un certo punto Macron guarda in direzione di Zelensky, che fa cenno di sì col capo (non può rompere lo schema a due chiaramente più gradito al presidente americano, e probabilmente non vuole neppure, sa che la partita con l’Orso russo si risolve solo aggrappandosi agli artigli dell’Aquila a stelle e strisce, non è la sede e nemmeno il momento per dare sponda alle velleità bonapartiste dell’Eliseo).
Il (fin troppo) volonteroso francese non può che abbozzare, anche perché chi si occupa del cerimoniale ha capito tutto al volo, e le sedie sono diventate due. Trump e Zelensky possono così tenere quel bilaterale sotto lo sguardo dell’eternità cui giustamente Meloni ha subito attribuito «un significato enorme». È solo al termine del loro colloquio, definito dal presidente ucraino «altamente simbolico», che si avvicina Starmer e che ricompare anche il Macron scornato, per una pacca sulla spalla e qualche convenevole. In termini di comunicazione è una sottolineatura, la certificazione del ruolo di comprimari.
Trump, Macron cerca di imbucarsi al faccia a faccia con Zelensky: allontanato
Macron colpisce ancora. Ennesima figuraccia per il galletto francese. Questa volta in Vaticano, dove l'inquilino del...La fotografia che rimarrà nei libri, ma soprattutto che sconquassa la realtà e apre una fase nuova, ritrae Trump e Zelensky occhi negli occhi, in uno dei luoghi che più custodisce lo spirito d’Occidente. Un incontro/spartiacque favorito dalla regia di Giorgia Meloni, a cui il galletto d’Oltralpe ha provato a imbucarsi, finendo spennato. Nella sede del Papato, l’Impero contemporaneo parla con l’aggredito e insieme fanno un passo verso la pace. Il resto è noia, o risentimento (male) impaginato.