Il colloquio di quindici minuti tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky su due snelle sedie dorate rivestite di velluto rosso damascato nella marmorea cornice della Basilica di San Pietro è già di per sé un momento storico. Se poi questo incontro si rivelerà anche proficuo per arrivare a un accordo di pace allora dovremo per forza riconoscere il ruolo decisivo di Papa Francesco, anche dopo la fine della sua vita terrena.
Era la prima volta che Zelensky e Trump si vedevano faccia a faccia dal tumultuoso incontro di febbraio alla Casa Bianca, durante il quale sono apparse subito evidenti le distanze di vedute tra le due parti e i risentimenti reciproci. La Casa Bianca ha definito l’abboccamento «molto produttivo», il presidente ucraino «altamente simbolico», aggiungendo che «potrebbe diventare storico se raggiungessimo risultati insieme». Zelensky in realtà sperava di poter parlare di nuovo e con più calma con Trump dopo la cerimonia, forse anche per presentare il suo piano di pace alternativo a quello americano di cui si sta discutendo in questi giorni, ma il tycoon se n’è andato prima del previsto.
Sul volo di ritorno a Washington tuttavia non ha mancato di postare un lungo messaggio in cui, dopo aver attaccato il New York Times che «parlerà male di qualsiasi accordo possa raggiungere, non importa quanto vantaggioso possa essere», ha sottolineato che «non c’era motivo per cui Putin avrebbe dovuto lanciare missili su aree civili, città e paesi, negli ultimi giorni». «Mi fa pensare che forse non vuole fermare la guerra» ha aggiunto il presidente Usa, «mi sta solo prendendo in giro, e deve essere trattato diversamente, con “banking” o “sanzioni secondarie”? Troppe persone stanno morendo!!!». Niente di nuovo in realtà, Trump sta cercando di mantenere la sua rotta il più possibile equidistante tra Ucraina e Russia, facendo sempre presente con i suoi interventi che Kiev ha pochi margini di trattativa («non ha le carte in regola») ma che Mosca non deve approfittarne.
QUEI 15 MINUTI
È probabilmente di questo che si è parlato in quei 15 minuti, anche perché sul merito della trattativa in corso le distanze tra Casa Bianca e Kiev rimangono molto ampie, perfino incolmabili se sull’Ucraina non incombesse la possibilità che gli Usa mollino il colpo lasciando il Paese senza armi. Dopo il quarto incontro tra l’inviato Witkoff e Putin al Cremlino, Trump ha scritto sul suo social che «la maggior parte dei punti principali è stata concordata» e che in programma ci sarebbe un incontro tra le leadership di Kiev e Mosca per firmare un accordo di cessate il fuoco ormai «molto vicino».
Ieri il Cremlino ha confermato e accettato la disponibilità della Russia ad avviare colloqui diretti con l’Ucraina «senza precondizioni». Il piano americano è quello emerso negli ultimi giorni, prevede il riconoscimento de jure dell’occupazione russa della Crimea, quello de facto delle altre regioni ucraine conquistate da Mosca, la revoca totale o parziale delle sanzioni che incombono sulla Russia, l’impossibilità per Kiev di entrare nella Nato e il mantenimento dell’esercito ucraino.
Nonché la neutralità dell’area attorno alla centrale nucleare di Zaporizhzhia che potrebbe cadere sotto il controllo diretto degli Stati Uniti anche come garanzia di sicurezza dell’intera Ucraina insieme allo sfruttamento delle materie prime per il quale è previsto un accordo a parte. Sulla Crimea Trump è stato molto chiaro sostenendo che la penisola è «da molto tempo» sotto controllo russo e, lo ha ripetuto anche ieri nel suo post, quando è stata occupata (2014) Obama non fece nulla per impedirlo.
LE DIVERGENZE
Zelensky non concorda quasi nulla di quel piano e in concerto con Macron e Starmer (come dimostra anche il comico balletto delle sedie a San Pietro di cui parliamo in un pezzo a parte), ne avrebbe pronto un altro che rimanda qualsiasi discussione sui territori a dopo il cessate il fuoco. Il presidente ucrano tuttavia ha già detto di non potere riconoscere in alcun modo l’occupazione del suo Paese in quanto la stessa Costituzione lo impedisce. La proposta ucraino-europea prevede poi una revoca graduale delle sanzioni con la possibilità di ripristinarle in caso di violazioni da parte della Russia.
Senza alcuna possibilità di entrare nella Nato Zelensky ritiene necessaria anche l’imposizione di una forza militare di pace che garantisca la sicurezza dell’Ucraina, anche se sul punto sembrerebbe che Londra stia diventando decisamente più cauta. Sono questi i punti che Zelensky avrebbe voluto comunicare a Trump e discuterne, ma alla fine si è dovuto accontentare di rivedere per l’ennesima volta Macron, Starmer e Ursula Von der Leyen.