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Apple parlerà indiano: scacco alla Cina

Vance recapita a Modi la proposta: sposteremo in India la produzione di 60 milioni di iPhone entro il 2026
di Antonio Castro sabato 26 aprile 2025

3' di lettura

Donald Trump si lascia blandire e sembra incamminarsi (prudentemente) sulla “via del cotone”. Con 60 milioni di iPhone Apple venduti negli States ogni anno, neppure la Casa Bianca può ignorare le lamentele (e le suppliche) che rimbalzano nello Studio Ovale.

E adesso si capisce anche perché il vicepresidente americano JD Vance dopo la visita ufficiale in Italia e l’incontro con Bergoglio - sia decollato rapidamente alla volta dell’India. Vance il 21 aprile ha avuto un incontro con il primo ministro Narendra Modi. Le formalità della visita pubblica (compare la moglie di religione indù Usha Chilukuricon), ma già da settimane gli addetti americani e indiani trattavano (sottotraccia) per evitare lo “strappo” dei dazi che Washington minaccia di sparare a raffica, anche contro i prodotti provenienti dal subcontinente indiano.

L’India di Modi- potenza economica mondiale che nel 2025/2026 dovrebbe veder crescere il Pil interno del 6,4% non può permetterselo: deve fare i conti con il galoppante tasso di crescita della popolazione (1,4 miliardi di persone).

L’intenzione (anticipata dall’agenzia Reuters e rilanciata ieri pure dal Financial Times), è di trasferire una bella fetta dell’assemblaggio dei cellulari della Apple proprio in India. Con l’obiettivo di arrivare rapidamente, in poco più di un anno, a supplire (aggirare?) le forniture cinesi. Disinnescando così il “ricatto” di Pechino.

Ma c’è dell’altro. La visita del braccio destro di Donald ha definito la “cornice” di un accordo quadro per avviare i negoziati di una intesa commerciale bilaterale con l’India. Modi non vuole (né può permettersi) di incassare aumenti tariffari del 26% per ora sospesi ma che partirebbero a luglio su tutte le importazioni statunitensi. Insostenibile.

C’è da dire che il presidente Modi ha gioco facile a trovare una strada privilegiata visto il minimo storico raggiunto nei rapporti tra Stati Uniti e Cina. La politica commerciale lanciata dall’amministrazione repubblicana fatta di dazi “stellari”, stop and go continui (a luglio scadrà la tregua degli aumenti tariffari), e richieste continue ai tradizionali alleati (a cominciare dal contributo alle spese Nato), fa traballare gli equilibri precari della globalizzazione.

E tutti gli accordi (a cominciare da quelli con i vicini di casa, Canada e Messico, riepilogati nel Nafta), dovranno essere rivisti. C’è chi minaccia la chiusura dei rubinetti energetici (come Ottawa) e chi di bloccare l’export di vegetali (come Città del Messico). Forniture su cui contano 300 milioni di americani per fare la spesa a prezzi ragionevoli.

L’India ha scelto una strada più diretta: la visita di Modi alla Casa Bianca a febbraio, proprio all’indomani della proclamazione di Trump del 20 gennaio, aveva gettato le basi. Anche perché gli investitori, e non solo quelli di Wall Street, osservavano preoccupati l’esito dei colloqui. Confidando in un’apertura straordinaria da parte dell’amministrazione Trump.

Reuters, Bloomberg, Financial Times hanno messo in colonna diversi dettagli dell’intesa che potrebbe scattare a breve. Non è ancora chiaro se l’India abbia chiesto un’esenzione dalle tariffe mentre i negoziati sono in corso. Magari promettendo in cambio un regime di “rapporti privilegiati” in materie strategiche per l’economia americana.

L’agenzia di stampa Bloomberg ha interpellato direttamente il ministero del Commercio e dell’Industria indiano che si è ben guardato dal replicare all’email evitando di confermare incontri e/o trattative.
Quello che filtra è un paniere di ben 19 materie di discussione: accesso al mercato per i prodotti agricoli, commercio elettronico, archiviazione dei dati e, soprattutto, la fornitura di terre rare. Minerali indispensabili per la realizzazione di qualsiasi supporto elettronico: dai microchip ai satelliti, dai droni alle armi.

L’obiettivo a breve termine (2025/2030) è di triplicare l’interscambio commerciale dai 127,6 miliardi di dollari dell’anno scorso ai 500 miliardi di dollari ipotizzati per i prossimi 48 mesi. Se commercialmente un’intesa del genere consentirebbe agli Usa di disinnescare la minaccia cinese (titolare di concessioni in mezzo mondo di grandi risorse in terre rare e quindi strategiche), il dislocamento dalla Cina all’India potrebbe fare da apripista ad altri “trasferimenti” strategici. E la Cina alle prese con una crescita economica debole potrebbe solo contare sul rafforzamento dei rapporti con i Paesi dell’Asean. Così facendo The Donald potrebbe mettersi a discutere con Xi da una posizione di forza. Ventilando di sostituire in tempi relativamente brevi le catene di “montaggio umane cinesi” con quelle indiane.

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