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Trump non è fuori posto ai funerali di Papa Francesco

Divisi sull’immigrazione, Bergoglio e il tycoon si erano trovati d’accordo sulla necessità di fermare la «terza guerra mondiale a pezzi» Un’intesa che adesso potrebbe favorire un nuovo assetto internazionale
di Mario Sechi sabato 26 aprile 2025

4' di lettura

Papa Francesco aveva un gran carattere, agiva spesso d’impulso, riservando all’amicizia - e all’inimicizia - un’energia non comune. Bergoglio non risolveva le questioni con la formula del «todos caballeros», era un leader accentratore e se incontrava sul suo cammino quello che considerava un ostacolo, non lo aggirava, o lo svuotava di ogni potere o lo rimuoveva.

Per queste ragioni la sua scomparsa rende il Vaticano visibilmente acefalo, sono giorni dove regna la confusione, lo abbiamo visto durante la gestione della malattia del Papa e - come abbiamo raccontato ieri sul nostro giornale - nella surreale comunicazione delle sue ultime ore tra la vita e la morte, con una serie di versioni contrastanti e lacune che attendono di essere colmate.

Bergoglio sapeva essere duro, ma nei rapporti personali era anche capace di svolte improvvise. Quando chiesi al presidente dell’Argentina Javier Milei com’era andata la pax tra lui e il Pontefice, mi disse sorridendo che l’incontro era durato «settanta minuti», che «era stato profondo», che aveva «chiesto subito scusa al Papa» e che la risposta di Bergoglio fu quella di un padre al figlio: «Tutti quando siamo giovani commettiamo errori, non ti preoccupare». Motosega e perdono, tango e Vangelo, nel segno dell’Argentina.

Un’altra sagoma tagliente, Donald Trump, non ha avuto il tempo per incontrare di nuovo Francesco per discutere dei grandi temi della geopolitica, ma oggi il Presidente americano sarà in Piazza San Pietro e la sua presenza è un fatto importante non per le dissonanze ma per le assonanze con la Casa Bianca. «Era un brav’uomo», è stato il commento di Trump alla notizia della morte e quella frase semplice nasconde una vicinanza. Distanti sull’immigrazione, il Papa e il Presidente si sono ritrovati sulla stessa strada sul tema della guerra e della pace. $ un punto sottovalutato, taciuto dalla sinistra degli atei-devoti per sconvenienza ideologica, ma gli elementi sono squadernati e i fatti presto andranno tutti a dama, rivelando un’idea comune tra la Casa Bianca e il Vaticano: spegnere i conflitti, promuovere un nuovo ordine internazionale. La grande separazione sui migranti trovava un’altrettanto ampia convergenza sulla tragedia della guerra, dall’Ucraina a Gaza.

Nona caso la più solida intuizione di Bergoglio è stata quella della «terza guerra mondiale a pezzi», è lo scenario evocato da Trump durante il burrascoso faccia a faccia con Volodymyr Zelensky a Washington: «Tu stai scherzando con la terza guerra mondiale». $ lo stesso Zelensky che ieri ha detto di non essere sicuro della sua partecipazione ai funerali di Francesco, vedremo oggi se la notte ha portato consiglio. Questa dimensione comune tra il Papa e Trump, la sensazione di un mondo minacciato da guerre non-finite che rischia di scivolare in un incubo atomico (è stato sempre Trump a proporre alla Russia una de-escalation della proliferazione nucleare, tentativo che la Casa Bianca sta conducendo nei negoziati con l’Iran) è un punto chiave della politica estera di Bergoglio che non svanirà con il suo ritorno alla casa del Signore, è un’intuizione del Pontefice che se ne va e un’eredità per quello che uscirà Papa dal prossimo Conclave.

Fu Bergoglio a dire il 9 marzo del 2024, riferendosi all’Ucraina, che «è più forte chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca», una frase che provocò scalpore e fece infuriare Zelensky, ma un anno dopo, con una guerra ancora aperta e senza sbocchi sul piano militare, le parole del Santo Padre appaiono come quelle di un leader realista. Idee che echeggiano negli interventi di Trump di queste settimane, nei suoi tentativi scartavetrati di portare al negoziato diretto Kiev e Mosca, mentre il conflitto è un contrasto tra aperture e chiusure, missili e cablogrammi, Zelensky che ribadisce «la Crimea è nostra» (non lo è dal 2014, alla Casa Bianca c’era Obama e non fece un plissé) e poi dice che «nei prossimi giorni potrebbero svolgersi incontri di grande importanza che dovrebbero avvicinare la tregua», mentre Putin dopo aver bombardato Kiev ieri si è detto disponibile a negoziati diretti con l’Ucraina (non accade dal marzo del 2022).

Questo è lo scenario dove rimbomba l’assenza della voce di Francesco e dove sarà fondamentale l’iniziativa del nuovo Pontefice, prendere le mosse dall’intuizione del Papa che non c’è più e promuovere un nuovo ordine. La Chiesa ha un modello a cui ispirarsi: il Concilio di Nicea del 325 che regolò il rapporto tra Papa e Imperatore, Chiesa e potere politico, un evento che ha cambiato la storia, «La scommessa di Costantino» raccontata in uno splendido libro di Gian Guido Vecchi e Gian Maria Vian edito da Mondadori. Francesco ha visto prima di tutti il trauma di un’epoca, ma gli sono mancati la forza e il tempo, l’organizzazione e le idee, per promuoverne un altro Concilio di svolta sui nuovi imperi e la Chiesa universale, sulla pace e sulla guerra. Il tempo gioca a dadi con i no mie i luoghi, Nicea era un’antica città dell’Asia Minore, oggi è la Turchia di Erdogan, il Paese dove si svolse senza fortuna nel marzo del 2022 l’unico tentativo di chiudere la guerra in Ucraina, un incontro mancato tra Oriente e Occidente. La storia non è mai ieri, è sempre oggi.

In questa chiave, la presenza di Trump a San Pietro acquista una luce diversa dal chiacchiericcio del giornalismo in ciclostile se guardiamo il messaggio di Bergoglio sulla guerra e lo sovrapponiamo a quello della Casa Bianca. La pace la scrivono sempre i vincitori e in Ucraina nessuno lo è: Mosca non può perdere, Kiev non può vincere. Nell’imperfezione dell’uomo, nell’eterna lotta tra il bene e il male, il supremo valore sul quale si posava lo sguardo del Pontefice e si alzava la sua voce, è quello della vita.

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