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Ucraina, rinunciare per non perdere tutto: ecco perché sacrificare la Crimea

di Carlo Nicolato venerdì 25 aprile 2025

3' di lettura

«Spetta all’Ucraina stabilire le condizioni per una pace giusta e duratura» e «quando si parla di Crimea, la nostra posizione è davvero chiara: la Crimea è Ucraina». Questa l’Unione Europea sul piano di pace americano, parere certamente condivisibile in linea di principio ma realisticamente campato per aria. L’Ucraina è artefice del suo destino e su questo non ci piove ma avendo delegato la sua difesa contro l’attacco russo alle armi perlopiù americane i suoi margini per stabilire le condizioni per la pace sono assai ristretti.

Sono di fatto pari a zero se si considera che quella guerra Kiev l’ha praticamente persa e l’unico modo di ribaltarne eventualmente le sorti dipende sempre da Washington e da continue forniture di armi sempre più potenti. Come è noto tuttavia il presidente americano Donald Trump vuole la pace e ha minacciato di fare un passo indietro, cioè di disinteressarsi ulteriormente di una guerra che non lo riguarda, qualora le parti in causa non diano rapidi segni di buona volontà. Giusto o sbagliato che sia questa è la situazione contro la quale nemmeno l’Europa può molto, tuttora perlopiù disarmata e, nonostante i proclami, non in grado di sostituire gli Usa negli aiuti militari all’Ucraina senza decimare pericolosamente le proprie difese.

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Anche sul fatto che la Crimea fosse territorio ucraino a tutti gli effetti non ci piove, ma non si può far finta che da oltre dieci anni la Russia non l’abbia occupata e ne abbia stabilito una regione della Federazione. C’è qualche possibilità che Kiev possa riprendersela? Nessuna e lo ha riconosciuto lo stesso Volodymyr Zelensky nel 2023 quando ancora la guerra sembrava potesse essere vinta e gli aiuti Usa non erano in discussione. In un’intervista all’ emittente tv 1+1, il presidente ucraino sostenne che perla Crimea andava trovata una «soluzione politica» suggerendo che rimanesse sotto controllo russo in cambio della sua smilitarizzazione.

La stessa cosa era stata detta anche più chiaramente in un’altra intervista al Financial Times dall’attuale ministro degli Esteri ucraino Andriy Sybiha, tuttora capo delegazione per la trattativa con gli Stati Uniti. La proposta di un riconoscimento ufficiale da parte di Washington - e non di Kiev come ha precisato Trump- dell’occupazione russa non ha dunque nulla di peregrino, né rappresenta qualcosa di offensivo per Zelensky che invece l’ha sdegnosamente rifiutata. Si tratta solo di un punto di partenza per aver poi margini di trattativa più ampi sulle altre regioni occupate. Mosca ha fatto sapere che la posizione della Casa Bianca sulla Crimea è «pienamente coerente» con le posizioni russe ma sa benissimo che in una trattativa diplomatica niente arriva gratis. Qualcosa insomma dovrà cedere: forse, come ha detto l’inviato americano Steve Witkoff, su quelle regioni non ancora completamente conquistate come Zaporizhzhia e Kherson dove la maggioranza russa non è così netta come nel Donbass e nel Luhansk.

Le alternative al piano di Trump sono molto peggio. La continuazione del conflitto senza più gli aiuti americani avrebbe come conseguenza per l’Ucraina perdite molto maggiori. Per evitare la figuraccia i volenterosi europei potrebbero inviare le loro truppe a Kiev e Odessa, lontano dai combattimenti, ma anche solo un’incomprensione potrebbe far scoppiare un conflitto su scala mondiale. Insomma anche all’Europa conviene il piano di pace di Trump, così come a Kiev che potrebbe mantenere l’integrità di oltre l’80% del suo territorio e avrebbe l’opportunità unica e irripetibile di poter entrare nella Ue attraverso una corsia preferenziale.

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