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Papa Francesco, la scelta del successore? Occhio al "fattore Cina"

C’entra moltissimo anche Pechino sia nel modo in cui il Vaticano guarda il mondo, sia nel modo in cui il mondo guarda il Vaticano
di Daniele Capezzone mercoledì 23 aprile 2025

2' di lettura

C’entra, c’entra moltissimo anche il “fattore Cina” sia nel modo in cui il Vaticano guarda il mondo, sia nel modo in cui il mondo guarda il Vaticano. Non è un segreto il fatto che, negli anni del pontificato di papa Bergoglio, su questo aspetto in totale sintonia con il cardinale Pietro Paro lin, l’atteggiamento della Santa Sede sia stato assolutamente simpatetico rispetto a Pechino. L’episodio più significativo è il cosiddetto “Accordo Provvisorio” tra Vaticano e Repubblica Popolare Cinese sulla nomina dei vescovi, da ultimo rinnovato per ulteriore quadriennio nell’ottobre scorso (dopo la prima firma del 2018). Per molti versi, l’esito di questa mano tesa dalla Santa Sede verso il regime comunista di Pechino è paradossale: le persecuzioni nei confronti dei cristiani non sono affatto diminuite (anzi), e nel partito rimane una pervicace ostilità contro la libertà religiosa.

Eppure, da parte vaticana, si fa di tutto per non vedere i problemi: il posizionamento geopolitico della Santa Sede è sempre più sinofilo (e simmetricamente freddo nei confronti della nuova Amministrazione americana); c’è un grande attivismo culturale, editoriale e mediatico, in area cattolica, a favore del dialogo con la Cina. E – per paradosso – non ci si fa troppi problemi ad abbandonare nel silenzio un editore e imprenditore come Jimmy Lai, vero e proprio prigioniero di coscienza, “colpevole” di aver difeso a Hong Kong i princìpi di libertà. Come si sa, questo autentico eroe, a 77 anni, non solo è imprigionato in isolamento, ma rischia una condanna all’ergastolo di fatto per reati di opinione, anche se contro di lui sono scattate roboanti accuse di collusione con forze straniere. Eppure – sul caso Lai tanto quanto sugli altri cristiani perseguitati – c’è un silenzio pressoché assoluto.

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Inutile girarci intorno: su questi presupposti, la “variabile Cina” giocherà un ruolo molto significativo anche nel Conclave che si aprirà tra il 5 e il 10 maggio prossimi. Come si porrà il nuovo Pontefice? Confermerà la linea pro Pechino? Contestualmente, correggerà l’atteggiamento scettico, per non dire gelido, verso la presidenza Trump? Il rapporto con Pechino è il prisma attraverso cui comprenderemo molte cose: l’attitudine del nuovo pontificato a transigere o a non transigere su libertà e princìpi fondamentali; il rapporto con il Nord America (nel momento in cui Washington individua proprio in Pechino la principale minaccia strategica); il rapporto con il Sud America e con l’Africa, aree dove la penetrazione cinese è fortissima. Si tratta dunque di capire se in particolare in quei teatri la Chiesa sceglierà come ingombrante compagno di strada il partito comunista cinese. Si tratta di un autentico enigma sia sul terreno dei princìpi sia su quello della collocazione geopolitica. A metà maggio il mondo riceverà una prima attesissima risposta.

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