Il Papa e l'America trumpiana

Con il Trump II e un nuovo pontefice, cattolici reazionari e progressisti sono alla resa dei conti. Ma Vance e Bergoglio hanno tracciato la strada
di Costana Cavallimercoledì 23 aprile 2025
Il Papa e l'America trumpiana
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A metà ottobre dell’anno scorso, a meno di tre settimane dalle elezioni presidenziali degli Stati Uniti, Donald Trump era alla cena di beneficenza della Alfred E. Smith Memorial Foundation. Ka mala Harris no. L’evento, organizzato dal 1945 dall’arcidiocesi di New York, ha come obiettivo la raccolta di fondi per donne e bambini bisognosi ed è l’ultima occasione in cui i due candidati condividono lo stesso palco prima delle urne. La democratica non ci mise piede: mandò un video di saluti registrato. «Non era mai accaduto da quando Walter Mondale non si presentò e perse in quarantanove Stati (era il 1984, stravinse Ronald Reagan, ndr)», fu il commento del cardinale Timothy M. Dolan.

Il religioso ha presentato la sua richiesta di ritiro a inizio anno, come ormai d’uso a 75 anni, ma resta potentissimo e lucidissimo esponente della Chiesa americana, e da ben prima che i rapporti con il Vaticano si esacerbassero con il ritorno dell’attuale presidente (che pure sarà presente ai funerali del pontefice). In un articolo del 2018 pubblicato sul Wall Street Journal e dal titolo “I democratici abbandonano i cattolici”, Dolan scriveva che i fedeli avevano storicamente votato dem perché rappresentavano il partito delle questioni sociali e dei diritti civili. I repubblicani erano invece il partito dell’arroganza wasp, i bianchi anglosassoni protestanti del ceto alto che calpestavano la dignità in nome del profitto. Dagli anni Novanta, però, i liberal sono diventati un covo di abortisti, tanto da presentare una proposta di legge che avrebbe consentito ai medici di non curare un bambino sopravvissuto a un aborto. «Io sono un pastore, non un politico», si legge nel testo, «e ho avuto diverbi e ricevuto delusioni dai politici di entrambi i partiti. Però m’intristisce, e indebolisce la democrazia che milioni di americani tanto apprezzano, vedere il partito che un tempo abbracciava i cattolici sbatterci adesso la porta in faccia». Non deve quindi stupire che Trump sia stato votato dal 56% dei cattolici (erano il 47% nel 2020 e il 50% nel 2016), una percentuale maggiore di quella conquistata del 2020 dal cattolico bianco Joe Biden, il secondo presidente nella storia americana a essere fedele alla chiesa di Roma, dopo John Fitzgerald Kennedy. Da una parte i cattolici liberal, quindi, dall’altra quelli «sempre più attratti dall’agenda della nuova destra resa popolare da Trump», ha analizzato il gruppo conservatore Catholic Voice, «che combina politiche sociali che mettono la famiglia al primo posto con le priorità economiche dell’America».

La capacità dei repubblicani di percepire la portata delle culture wars, delle identity politics e delle questioni etiche come l’interruzione di gravidanza e il diritto all’obiezione di coscienza, della questione gender, si è concretizzata nella scelta del vicepresidente convertito J.D. Vance, primo cattolico repubblicano alla Casa Bianca ed esponente di quel cristianesimo agostiniano e reazionario che ha successo tra i seminaristi e fa proseliti nella Silicon Valley. D’altro canto, dicono i critici, Papa Francesco, che negli Usa fece un unico viaggio nel 2015, non ha mai fatto mistero del suo disprezzo per i vescovi conservatori statunitensi: ha ordinato cardinali solo personalità liberal, da Blase Cupich di Chicago a Joseph Tobin di Newark fino a Robert McElroy di Washington. Al contrario, l’arcivescovo di Filadelfia Charles Chaput si sarebbe meritato la porpora cardinalizia e non è arrivata, così come per José Gómez di Los Angeles. I due chiesero di negare la comunione a Biden per le sue posizioni su aborto, eutanasia, gender e matrimonio tra persone dello stesso sesso. Da Roma arrivò una lettera: diceva, sostanzialmente, che aborto ed eutanasia non sono peccati più gravi degli altri. Quando l’arcivescovo di San Francisco Salvatore Cordileone impedì a Nancy Pelosi di ricevere la Comunione nella sua arcidiocesi, Francesco le diede personalmente il Sacramento durante la sua visita in Vaticano. Non si espose però durante la campagna elettorale, invitando i fedeli a «valutare il male minore» tra chi «deporta i migranti e chi sostiene l’aborto».

La “svendita” al partito Partito Comunista Cinese, ha scritto Carl R. Trueman sul mensile First Things, è stata l’ennesima mossa sgradita ai conservatori americani: «Che confusione tra Chiesa e Stato è consentire a un magistrato laico un ruolo nella scelta di un vescovo. Ma quando quel magistrato laico è un partito con le mani impenitenti sporche di sangue il problema non è solo una confusione di poteri; è un insulto a tutti coloro che si sono sacrificati per opporsi a tali criminali». E ancora: «Mentre la Cina godeva di un accordo speciale, le continue critiche di Francesco all’America si facevano più insistenti. La sua recente lettera ai vescovi statunitensi, in cui criticava la politica dell’amministrazione Trump sull’immigrazione illegale, è stata emblematica del suo atteggiamento di ambigua ipocrisia. Solo pochi mesi prima, la Città del Vaticano aveva introdotto leggi draconiane relative agli stranieri indesiderati». Eppure, nonostante Stephen P. White, direttore del Catholic Project, paventi una sorta di «anglicizzazione» del cattolicesimo, una Chiesa nazionale indipendente dal Vaticano, Papa Francesco e Vance hanno dimostrato che, al di sopra della politica, resiste la virtù più cara a Benedetto XVI, la carità.