Il braccio di ferro tra la Cina di Xi Jinping e gli Stati Uniti di Donald Trump non è solo una questione economica. Certo, la “guerra dei dazi” che, almeno al momento, sembra più ridimensionata a una battaglia commerciale verso un principale avversario, il Dragone (il presidente Usa, meno di tre giorni fa, è stato chiarissimo lanciando all’Occidente una sorta di aut-aut: o con Washington o con Pechino, chi sceglierà la prima strada subirà misure più lievi- anche se ieri ha fatto trapelare che un possibile accordo non è da scartare nemmeno con l’economia cinese) è quella che tiene banco, ma ce n’è un’altra: più marginale, sicuramente meno attuale, meno conosciuta e di respiro diverso. Sanitario.
Da ieri, sul Lab Leak della Casa Bianca, che è un sito governativo americano impiegato da tempo dall’amministrazione statunitense per rilasciare linee guida circa la gestione del Covid-19 al di là dell’Atlantico, è apparsa una pagina particolare. Sfondo blu istituzionale, contenuti lanciati in poche righe messe a elenco e l’immagine del tycoon che avanza, immancabile cravatta rossa, con sguardo serio. The true origins of Covid-19, la vera origine del Covid: dice la didascalia. Ed è esattamente quello che segue. Segue, cioè, ricapitolato in cinque punti chiave, la tesi che la pandemia che ha sconvolto il mondo nel 2020 sia stata generata da una “fuga dai laboratori” del virus. Laboratori cinesi, ovviamente.
Trump, il vero obiettivo era la Cina
Wall Street ha cercato di battere Donald Trump in tre sedute. Alla quarta gli speculatori si erano già ammorbidit...Primo (si legge): «Il virus possiede una caratteristica biologica che non si trova in natura». Secondo: «I dati dimostrano che tutti i casi di Covid derivano da una singola infezione nell’uomo e questo è in contrasto con le precedenti pandemia in cui, invece, si sono verificati molteplici eventi di spillover». Terzo: «Wuhan (non tocca neanche ricordare che è stata la città nel sud della Cina da cui è partito tutto: ce lo ricordiamo fin troppo bene, ndr) ospita il più importante laboratorio di ricerca cinese sulla Sars e, in passato, ha condotto ricerche con livelli di biosicurezza inadeguati». Quarto: «I ricercatori di Wuhan manifestarono sintomi simili a quelli del Covid già nell’autunno del 2019». E quinto: «Secondo quasi tutti i parametri scientifici, se ci fossero state prove di un’origine naturale queste sarebbero già emerse. Epperò non è successo».
Il concetto, nemmeno troppo velato, è che se tre indizi fanno una prova, come sosteneva Agatha Christie, cinque ottengono qualcosina in più, ossia il fatto che «un incidente di laboratorio» sia «la causa più probabile» della pandemia (poi diventata pandemonio) che ci ha bloccato in casa cinque anni fa e che solamente nel biennio 20-21 ha fatto 131 milioni di morti. I riferimenti del Lab Leak, tuttavia, non si esauriscono qui. Il portale ricorda la grazia che l’ex presidente democratico Joe Biden ha concesso all’immunologo Anthony Fauci per proteggerlo da procedimenti «ingiustificati e politicamente motivati» un attimo prima di lasciare lo Studio Ovale, passa in rassegna la gestione di quei mesi difficili operata (per esempio) dall’ex governatore dem di New York Andrew Cuomo e ricorda diverse affermazioni esternate nel pieno dell’emergenza planetaria.
«I funzionari della sanità pubblica», conclude una sezione il cui titolo basta a inquadrare la faccenda (“Disinformazione sul Covid-19”), «spesso ingannano il popolo americano con messaggi contrastanti, reazioni impulsive e mancanza di trasparenza. In modo ancora più eclatante il governo federale ha demonizzato i trattamenti alternativi e criticato narrazioni differenti in un vergognoso tentativo di forzare e controllare le decisioni del popolo in materia di salute». Ce n’è per tutti, insomma.
Per gli ex inquilini della Casa Bianca, per i loro esperti e scienziati, ma anche per i cinesi che, in questo modo, sono citati in prima persona (a intramezzare la tesi campeggia, infatti, una foto del centro di Wuhan nella quale è messa in evidenza la distanza che intercorre tra il mercato e l’istituto di virologia: 7,5 miglia, poco più che dodici chilometri). Dall’altra parte del mondo le borse di Pechino chiudono tutto sommato in pareggio, Shanghai perde lo 0,11% e Shenzhen recupera un irrisorio 0,03% (Hong Kong è chiusa per via delle festività). Sul tavolo ci sono (ancora) i dazi al 145%. Per ora. Ma la partita resta aperta su più campi.