O si fa la pace o si “va avanti”. Le frasi pronunciate ieri da Donald Trump e dal segretario di Stato americano Marco Rubio potrebbero tranquillamente rappresentare un punto di svolta nella guerra russo-ucraina, anche se la Casa Bianca è stata volutamente vaga sui dettagli. Una cosa, tuttavia, si può tranquillamente dare per assodata: non si tratta di un bluff. Gli Stati Uniti si sono ritirati dall’Afghanistan, dove il coinvolgimento sul territorio era ben diverso, lasciando il paese in mano ai talebani, con immagini che resteranno nella storia (in particolare quegli uomini attaccati alla struttura esterna dell’ultimo aereo in partenza da Kabul pur di sfuggire agli estremisti islamici). In Ucraina, invece, tutto sommato basterebbe smettere di pagare. Ovviamente resta da capire quel che accadrebbe dal giorno successivo.
Come noto, sulle cifre degli aiuti a Kiev è in corso una disputa tra i leader occidentali, ma qualche certezza ce l’abbiamo: secondo i dati del Kiel Institute, tra febbraio 2022 e la fine del 2024 gli Stati Uniti hanno speso 64 miliardi di euro per il sostegno militare all’Ucraina, mentre l’intera Europa, compresi Regno Unito e Norvegia, ha contribuito con quasi 62 miliardi di euro. E come Libero ha spesso fatto notare, il “peso” di questi aiuti non è uguale. Bisogna vedere da dove arrivano le armi, in particolare quelle più moderne. Il ministero della Difesa di Kiev sostiene che il 20% del materiale bellico usato al fronte arrivi da oltreoceano (dall’Europa il 25% e il resto dall’Ucraina stessa), ma esistono alcuni “campi” nei quali Washington è semplicemente insostituibile.
Parliamo della difesa aerea: stando ai rapporti dei servizi inglesi, i depositi europei sono a secco e Kiev dipende dagli aiuti a stelle e strisce. Poi c’è l’artiglieria a lungo raggio: non è un caso se proprio in questi giorni si è tornato a parlare dei missili tedeschi “Taurus”, perché rappresenterebbero l’alternativa a quelli statunitensi. Infine c’è l’intelligence, i satelliti di Musk la cui alternativa europea ad oggi semplicemente non esiste. Se Trump si ritira, la Russia dilagherà? Forse, ma non è detto. È vero che i russi stanno progredendo e che Zelensky non è mai riuscito a stabilizzare il fronte. Ma Putin avanza con grandissima lentezza. Secondo l’ultimo rapporto dell’Institute for the Study of War, al ritmo attuale Mosca impiegherebbe due anni per conquistare l’intero Donetsk. Non esattamente una marcia trionfale, calcolando un migliaio di morti al giorno nel “tritacarne” dello Zar. E bisogna notare che non è affatto detto che la Casa Bianca stacchi completamente la spina, per quanto riguarda gli aiuti.
Insomma, anche per i russi l’ipotesi di chiudere la guerra con una trattativa ora avrebbe il suo senso. Quello di Rubio, infatti, è un segnale lanciato a loro, cui Washington ha aperto una “linea di credito”, dando al Cremlino la possibilità di riaccreditarsi nella comunità internazionale dalla quale per ovvie ragioni erano stati allontanati. È però un messaggio anche all’Europa, o meglio a quanti tra Parigi, Londra e Bruxelles hanno manifestato da subito scetticismo (se non ostilità) nei confronti dei tentativi del nuovo presidente. E ovviamente è un ennesimo messaggio a Zelensky, se non fossero stati già abbastanza chiari quelli arrivati nello studio ovale nel celebre faccia a faccia con Trump e Vance.