Che l’Indo-Pacifico sarebbe stato il fulcro della strategia statunitense, e che quindi conveniva facesse parte anche del nostro orizzonte, l’aveva capito prima di altri l’ambasciatore Francesco Talò, già Consigliere Diplomatico di Giorgia Meloni e ambasciatore presso la Nato a Bruxelles, oggi inviato speciale italiano per il Corridoio India-Medio Oriente-Europa (Imec), che mira a collegare l’Asia meridionale all’Europa attraverso il Medio Oriente, il Golfo e il Mediterraneo, passando per infrastrutture strategiche come il porto di Trieste.
L’incontro tra Meloni e Trump è stato un successo, tanto più evidente perché il presidente americano non segue il protocollo, dice schiettamente ciò che pensa e che intende fare (e che poi farà). Possiamo dire “missione compiuta”?
«Il Presidente del Consiglio ha affrontato una visita difficile e in un contesto non facile. Eppure è riuscita nella quadratura del cerchio parlando del valore dell’Occidente: è un concetto caro a Meloni e lo è tanto più perché adesso si teme la spaccatura del rapporto euroatlantico. Un legame che non si esaurisce nel concetto geografico, si tratta di condivisione di valori comuni e interessi superiori. Ecco perché era fondamentale sottolinearne l’importanza, al di là delle difficoltà contingenti».
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Italia e Stati Uniti sono alleati storici. Il successo di questa missione è certamente anche da attribuire all’empatia di Meloni e alla comunanza di visione con Trump. Quale novità apporta la premier nella tradizionale e necessaria amicizia tra il nostro Paese e gli Usa?
«Meloni rappresenta un governo stabile e autorevole. Certamente, l’empatia conta e l’abbiamo potuto constatare anche con altri leader mondiali. Con gli Stati Uniti abbiamo interessi e obiettivi che vanno oltre le amministrazioni: c’era cordialità con Joe Biden e c’è con l’amministrazione corrente perché è il rapporto transatlantico ad essere cruciale. A maggior ragione in momenti non facili. Era scontato che un Presidente del Consiglio italiano andasse a Washington, ma è importante che la visita sia avvenuta in tempi così brevi».
Meloni ha sottolineato davanti alle telecamere quanto la Nato sia importante, anche in vista del vertice all’Aia di fine giugno. E “l’incrollabile impegno” nei confronti dell’alleanza è stato nominato nella dichiarazione congiunta dei due leader. Il quadro mondiale fissato dopo il 1945, però, con gli accordi di Bretton Woods e le Nazioni Unite, è ormai slabbrato. Che ne sarà di Nato, Onu, Wto?
«C’è bisogno di aggiornamenti, pena il rischio che queste organizzazioni si sclerotizzino. La Nato, grazie alla continuità di valori, ha sempre saputo evolversi: lo dimostra il fatto che è l’alleanza più longeva nella storia dell’umanità. E questo perché si tratta di un’alleanza “per” e non “contro” qualcosa. Caduta l’Urss, la Nato ha proseguito con successo e il numero dei Paesi membri è aumentato. Si è adattata alla guerra contro il terrorismo e ora affronta anche la sfida del cambiamento climatico. In questo senso, parlare di esercito europeo è oggi irrealistico: abbiamo già la Nato».
Se l’Italia non avesse abbandonato la Via della Seta cinese a fine 2023 e non fosse entrata nella Via del Cotone, che cosa sarebbe successo?
«Fin dall’inizio Meloni era consapevole che non potevamo essere vincolati in una cornice simile. Era inopportuno dal punto di vista politico, perché eravamo l’unico Paese del G7 a farne parte, e anche dal punto di vista economico, perché non ci portava benefici. Allo stesso tempo, la premier è riuscita a mantenere le relazioni con Pechino, che è protagonista nella tecnologia, nell’innovazione ed è capitale di una grande civiltà. Nel settembre del 2023 siamo invece stati tra i primi fondatori dell’Imec. Un progetto non solo commerciale ma anche di pace, cui aderisce Israele. Nella dichiarazione congiunta Italia-Usa, infatti, si citano sia l’Imec che gli Accordi di Abramo. A dimostrazione che la comunanza di intenti è un valore superiore rispetto ai singoli attori in campo: l’Imec nacque con Biden ed è stata accolta da Trump, gli Accordi di Abramo viceversa».
Qual è il ruolo del nostro Paese nell’Imec?
«Meloni ha rilanciato i rapporti con India ed Emirati Arabi nell’ottica di una strategia che ci vede protagonisti dell’Indo-Mediterraneo. Il nostro mare è piccolo, ma è il collegamento tra l’Indo-pacifico e l’Atlantico. La grande capacità della premier è avere una visione d’insieme e collegare gli interessi nazionali con quelli internazionali. Nella fattispecie, con quelli di Nuova Delhi e di Abu Dhabi, entrambe economie in crescita. Sia con Narendra Modi che con Sheikh Mohamed bin Zayed sono stati organizzati incontri. E il ministro degli Esteri Antonio Tajani era in India la settimana scorsa».
Meloni e Trump hanno parlato di prosperità condivisa e cooperazione tecnologica: si va dalla rinascita marittima del settore cantieristico americano alla collaborazione per le missioni su Marte e Luna fino all’intelligenza artificiale. Sono prospettive rassicuranti?
«Sono prospettive a lungo termine e niente affatto scontate: Fincantieri in America è di casa, possiamo offrire competenze cruciali nell’industria dell’aerospazio e in quella della subacquea, che è un mondo promettente tanto quanto lo spazio».
È in questo quadro che s’inserisce il Piano Mattei...
«Abbiamo bisogno di minerali critici sia per l’ambito civile che per quello militare. Da qui l’importanza dell’Africa, cui l’Occidente guarda con occhi maturi, non predatori. È un modo per lavorare insieme con l’Africa. E per fare meglio della Cina, non per farle lo sgambetto».
E sul fronte Ucraino? Che cosa succederebbe se, come ha paventato il Segretario di Stato americano Marco Rubio, gli Usa se ne andassero, come hanno fatto in Afghanistan?
«Fin dal 2022, quando era all’opposizione, Meloni ha riconosciuto la verità: ci sono un aggredito e un aggressore. Non solo gli Usa, ma l’Occidente tutto darebbe il segnale che sta voltando le spalle al resto del mondo. Non deve succedere. Anche per questo dobbiamo rafforzare le nostre difese, per essere in grado di fronteggiare eventuali rischi».
Quali dovrebbero essere le prossime mosse di Meloni in politica estera?
«Il Presidente ripete spesso l’espressione “a 360 gradi” e il contesto internazionale impone di sapere tenere insieme le cose, di unire i puntini, dall’Ucraina al Medio Oriente, dall’India all’Africa. L’Occidente è cruciale, l’America un alleato fondamentale, siamo convintamente nell’Unione europea».