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Meloni e Trump, i 3 punti del patto di Washington

La sinistra parolaia è evaporata con le sue ossessioni: «non deve andare», «è vassalla dell’America», «non ha il mandato». Bancarotta totale.
di Mario Sechi venerdì 18 aprile 2025

2' di lettura

Qualche giorno fa abbiamo titolato così la nostra prima pagina: «Missione possibile». Non era solo l’auspicio di chi coltiva lo spirito repubblicano, ma la valutazione ponderata di quel che poteva andar bene e quello che invece poteva andare storto nell’incontro tra Giorgia Meloni e Donald Trump. Alla fine, oggi possiamo aprire il giornale con «Missione compiuta», è un titolo che rispecchia quel che è successo alla Casa Bianca, dove la premier è stata la voce dell’Europa nello Studio Ovale, un leader ascoltato, un alleato che assicura il legame tra le due sponde dell’Atlantico, un capo di governo che presenta soluzioni e non aggrava i problemi. La sinistra parolaia è evaporata con le sue ossessioni: «non deve andare», «è vassalla dell’America», «non ha il mandato». Bancarotta totale.

Trump ha mostrato grande rispetto per Meloni, l’Italia e il suo ruolo in Europa, ha riconosciuto alla premier non solo lo status di miglior alleato, ma le ha consegnato un ruolo di interlocutore e negoziatore con Bruxelles. Meloni ha reso concreto «il ponte» Stati Uniti e Unione Europea. In estrema sintesi, la visita è stata un successo. L’Europa nacque con i Trattati di Roma il 25 marzo del 1957, e rinasce sempre a Roma nei primi mesi del 2025, con la futura visita di Donald Trump nella Città Eterna, per un vertice tra Stati Uniti e Ue. Non è un caso che questa apertura sia arrivata grazie all’Italia, Meloni si è presentata a Washington con una cassetta degli attrezzi e un programma studiato e revisionato settimana dopo settimana.

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Così è nato un piano dove non c’è solo la partita dei dazi, perché oltre alla guerra commerciale (che riguarda noi, certo, ma soprattutto la Cina), c’è il quadro della difesa in Europa e uno scenario di sicurezza nazionale dell’America dove il “soft power” italiano, le nostre conoscenze, sono un prezioso aiuto per Washington.
È il caso del piano per il contrasto, la prevenzione e la cura del Fentanyl, una piaga che significa oltre 100 mila morti all’anno, pari al doppio dei caduti americani nella guerra del Vietnam. Nel programma dell’amministrazione Trump, i dazi, le spese per la difesa e la lotta contro la droga sono elementi inscindibili. I dazi sono il tentativo di riequilibrare la bilancia commerciale, far rientrare in America fabbriche trasferite all’estero; il bilancio del Pentagono è una spesa che gli alleati devono in parte condividere; l’allarme sul Fentanyl e le droghe è il primo passo per tentare di salvare prima di tutto le comunità messe in crisi dalla desertificazione del lavoro e dell’industria.

Questi sono i punti su cui si è lavorato a Palazzo Chigi. Concretezza e una dose di fantasia, pragmatismo e lettura dell’agenda di Trump hanno disegnato la rotta di Meloni, un ottimo lavoro di squadra. Domani è un altro giorno ma, grazie a Meloni, oggi Stati Uniti e Europa si parlano e l’Occidente è più unito.

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