Trump, per contrastarlo i dem resuscitano pure Obama

Il presidente degli Stati Uniti taglia 2,2 miliardi di fondi ad Harvard, covo dei dem, e il suo predecessore chiama alla rivolta
di Tommaso Montesanomercoledì 16 aprile 2025
Trump, per contrastarlo i dem resuscitano pure Obama
3' di lettura

Ci mancava il ritorno sulla scena - ma se ne sono mai andati?- degli ultimi ex presidenti democratici. Ecco, se c’è una cartina di tornasole per misurare il tasso di intensità delle scosse che Donald Trump sta assestando al “sistema” americano, quella è rappresentata dal (rinnovato) attivismo di Barack Obama e Joe Biden. I due predecessori democratici di The Donald, su due temi diversi -i fondi agli atenei universitari e la spesa sociale - sono tornati a farsi sentire. Rispondendo, in qualche modo, agli appelli di un’opposizione finora allo sbando. Obama è intervenuto nello scontro tra il presidente degli Stati Uniti e la celebre università di Harvard. L’ateneo è oggetto degli strali di Trump, che come è noto ha deciso di congelare 2,2 miliardi di fondi federali destinati all’università dopo il rifiuto di Harvard di cambiare atteggiamento sia sugli studenti “pro Pal” che manifestano contro Israele, sia sui programmi per la diversità e l’inclusione (Dei), che l’amministrazione intende smantellare.

Obama, in un post su X, ha pubblicamente lodato la presa di posizione di Harvard: «Ha segnato un esempio per altre istituzioni, rifiutando un illegale e pericoloso tentativo di soffocare la libertà accademica». Di più: l’ex presidente ha auspicato che «altre istituzioni seguano il suo esempio». Un invito alla resistenza anti-Trump, in pratica. Strizzando l’occhio a un ambiente, quello universitario, dove l’Asinello gioca in casa. Trump non molla. Anzi, pungolato dalla presenza sulla scena dei suoi predecessori, il presidente ha rilanciato. Affidando al suo social network, Truth, l’anticipazione di quello che potrebbe essere il suo prossimo passo su Harvard: la revoca delle «esenzioni fiscali» di cui gode l’ateneo. L’università, ha scritto il capo della Casa Bianca, «dovrebbe essere tassata come un’entità politica, se continua a sostenere posizioni politiche, ideologiche e nauseanti, ispirate o di supporto al terrorismo. Ricorda: lo status di esenzione fiscale è condizionato dall’agire nell’interesse pubblico!».

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In serata, la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha denunciato che ad Harvard «sono stati compiuti atti di antisemitismo e bullismo nei confronti degli studenti ebrei». Il presidente, ha aggiunto Leavitt, si aspetta le scuse dell’ateneo. Da Obama a Biden, che Trump continua a chiamare, nei suoi post, «crooked Joe» il corrotto Joe - ogni volta che può. L’ex presidente, a quasi tre mesi dalla sua uscita dallo Studio Ovale, ha accettato di fare la sua prima apparizione pubblica intervenendo a Chicago alla conferenza annuale degli avvocati, dei consulenti e dei rappresentanti per la disabilità (Acrd). Al centro del suo discorso, le politiche per il welfare e l’assistenza che a suo dire sarebbero minacciate dalla presidenza Trump, interessata più ai tagli fiscali. Il presidente in carica resta all’attacco su tutti i fronti. Nel pomeriggio ora italiana ha esultato per i dati sull’immigrazione relativi al confine meridionale: «A marzo gli attraversamenti hanno toccato il minimo storico!». Poi è tornato ad attaccare la Cina, stavolta sul campo dell’agricoltura. «Gli Stati Uniti proteggeranno i loro agricoltori. I nostri agricoltori sono grandi, ma proprio per la loro grandezza sono sempre in prima linea con i nostri avversari come la Cina. La Cina è stata brutale con i nostri agricoltori», è il succo dell’invettiva trumpiana sul solito Truth.

L’obiettivo geopolitico di The Donald - nel giorno in cui escono, da fonte israeliana, le prime notizie sull’avvio del ritiro, entro due mesi, delle truppe americane dislocate in Siria - resta la Cina, al centro della guerra commerciale a colpi di dazi. Ieri Trump lo ha ripetuto dalla Casa Bianca commentando la missione del leader cinese, Xi Jinping, nel sud-est asiatico (prima in Vietnam, ieri in Malesia, poi in Cambogia): «Stanno cercando di capire come fregare gli Stati Uniti». È Pechino a dover fare la «prima mossa», ha spiegato la sua portavoce Leavitt: «La Cina ha bisogno di fare un accordo con noi. Non siamo noi a dover fare un accordo con loro. Non c’è alcuna differenza tra la Cina e gli altri Paesi, solo le sue dimensioni». Insomma, non tira aria di retromarcia sulla strategia legata ai dazi: la leva del rialzo - poi congelato per 90 giorni per alcuni Paesi - serve per stringere accordi. E al momento il bilancio è positivo: sarebbero in discussione intese commerciali con più di quindici Paesi.