L’obiettivo è colpire al cuore l’industria americana. Soprattutto nei settori ad alta tecnologia dove la sua dipendenza dall’estero è più alta. Dopo aver alzato i dazi al 125%, la Cina affila la sua ritorsione per infliggere all’economia statunitense un danno devastante. Allo studio degli apparati del regime c’è il blocco delle esportazioni di minerali critici e magneti, componenti essenziali per la produzione di auto, droni, robot e missili. La parziale retromarcia di Washington, che ha escluso temporaneamente dalle tariffe smartphone e computer cinesi, non ha dunque evitato l’escalation della guerra commerciale. E ora l’incubo americano di un’interruzione delle forniture per comparti strategici si fa concreto.
Una volta in vigore, scrive il New York Times, l’embargo rischia di bloccare le imprese dell’aerospazio, dell’automotive, dei semiconduttori, ma anche, ed è qui che il timore si fa panico, l’industria militare. «I limiti per le terre rare sono preoccupanti» ha dichiarato Kevin Hassett, uno dei principali consiglieri economici di Donald Trump, aggiungendo di essere al lavoro per «valutare tutte le opzioni». Già il 4 aprile, Pechino aveva varato restrizioni sulle esportazioni di sei metalli del gruppo delle terre rare e dei magneti che li contengono. Una misura che colpiva tutti i Paesi, non solo gli Usa. Le norme prevedono il rilascio di licenze all’export, ma il meccanismo non è ancora operativo. Un ritardo che già nei giorni scorsi ha alimentato tra le imprese occidentali i timori di gravi carenze di materiali chiave.
Capezzone: "Cina trattata con i guanti bianchi dai giornaloni. Occhio a pagina 4..."
E' tornato a parlare Donald Trump e domina "Occhio al caffè", la rassegna stampa politicamente scor...Ma da ieri l’offensiva di Pechino si intensifica. E in attesa che il governo chiarisca i contorni delle nuove limitazioni, le navi cargo sono ferme nei porti cinesi. Di certo c’è che l’arma sfoderata dal regime fa leva sul predominio globale conquistato nel settore negli ultimi anni: secondo alcune stime, la Cina controlla oltre il 90% della produzione mondiale di terre rare e di quella di magneti ad “alta potenza”, usati nei motori elettrici, nei dispositivi elettronici e nelle turbine eoliche. La più grande fabbrica cinese, la JL Mag di Ganzhou, rifornisce Tesla, Byd e altri colossi globali.
Che il pericolo di una eccessiva dipendenza da Pechino sia concreto lo ha ricordato del resto Giancarlo Giorgetti. «Gli Usa» ha detto il titolare del Tesoro, «non possono essere insidiati da una potenza che ormai non è più soltanto economica, ma anche militare». Anche perché, a ben vedere, la Cina non è soltanto monopolista nell’estrazione e raffinazione di terre rare e minerali critici per la transizione ecologica, come il litio e il cobalto. Negli ultimi anni si è infatti spostata sempre più su prodotti ad elevato contenuto tecnologico, arrivando a minacciare la leadership delle imprese europee e americane.
A certificare l’arretramento dell’industria occidentale è uno studio contenuto nell’ultimo bollettino economico della Banca centrale europea. Mettendo a confronto la crescita dell’export di Cina Usa ed Eurozona dal 2019 al 2024, gli autori del paper giungono alla conclusione che «la Cina sta guadagnando quote di mercato a scapito di leader di mercato quali l’area dell’euro, in particolare nel comparto dei veicoli elettrici». Basta un dato per rendersi conto della travolgente avanzata cinese: in cinque anni le esportazioni a contenuto tecnologico medio-alto (come veicoli, apparecchiature elettriche e prodotti chimici) della Cina sono passate dal rappresentare il 28% del suo export manifatturiero al 42%, superando l’Eurozona, ferma al 41%. Di conseguenza, la presenza delle aziende cinesi in questi segmenti produttivi è cresciuta di oltre il 12%, a fronte di un calo delle quote di mercato del 5% delle imprese europee e di quasi il 4% di quelle americane.
La situazione è più bilanciata nei settori ad alta tecnologia (telecomunicazioni, farmaceutico e aerospazio), dove gli Stati Uniti hanno aumentato del 2% il proprio peso mentre la Cina è arretrata di quasi il 5% e l’eurozona dell’1%. Nonostante questo, la penetrazione cinese sui mercati globali appare comunque dirompente. E a farne le spese è stata soprattutto l’Europa. Basti pensare che se Pechino in cinque anni ha incrementato la sua presenza sul commercio mondiale del 10% e Washington ha recuperato quasi del tutto il terreno perso rispetto al 2019, i Paesi dell’area euro hanno ridotto il loro peso del 2%. Soltanto il settore farmaceutico, nel quale l’Europa è ancora leader con il 36% dell’export globale, ha tenuto. «L’area dell’euro» si legge nel paper, «ha perso terreno in tutti i settori delle esportazioni manifatturiere», con il segmento a medio-alta tecnologia che ha contato per il 55% del calo registrato.
Sicuri sia sempre tutta colpa di Donald Trump?
La guerra in Ucraina partì nel 2007 con il conflitto in Donbass; la grande crisi del sistema del commercio mondia...Quanto al successo cinese, i meriti vanno in gran parte agli ingenti sussidi statali alle industrie high-tech. «Tali sovvenzioni» spiegano gli autori dello studio, «hanno determinato un eccesso di capacità produttiva, consentendo ai produttori cinesi di adottare strategie di prezzo aggressive sui mercati stranieri». Tradotto: la conquista del commercio internazionale non è frutto del caso, ma di una precisa strategia del regime. La battaglia per la supremazia globale è appena cominciata.