Flannery O’Connor è nata cent’anni fa, il 25 marzo 1925, nel Sud degli Usa a Savannah, in Georgia, ed è morta a 39 anni per una grave malattia, lasciando 31 racconti e 2 romanzi, La saggezza nel sangue e Il cielo è dei violenti, insieme a lettere di straordinaria intensità e a saggi che vengono celebrati nelle scuole di scrittura di tutto il mondo. La sua opera presenta una qualità stilistica e una potenza drammatica per cui è oggi considerata tra i più grandi prosatori di sempre. I suoi scritti sono intrisi di un cattolicesimo «che influisce su ogni azione» in modo spesso sconvolgente e che Flannery concepisce come attenzione al mistero dell’essere ed «esperienza di un incontro e di un tipo di conoscenza» nel tempo attuale. Per lei l’abisso della redenzione è, appunto, un abisso, rivolto spesso agli indifferenti o addirittura a chi va in chiesa senza fede, perché, come dice un suo personaggio, «se foste stati redenti vi premerebbe della redenzione, ma non vi preme».
Quando pubblica La saggezza nel sangue, a soli 27 anni nel 1952, ha già delineato con estrema consapevolezza la sua impostazione, «tra Sofocle e San Paolo». La sua amica Sally Fitzgerald afferma che, in quel primo romanzo, O’Connor intendeva rifarsi alla descrizione di una “terra desolata” come nel celebre poemetto di Eliot del 1922, e mostrare gli anni del dopoguerra di una generazione americana guasta e devastata, soprattutto spiritualmente. Mentre la “Waste Land” ha come suo baricentro la desolazione della civiltà europea, degli uomini in flanella nella city londinese e del tramonto dell'Occidente che non crede più in nulla, per Flannery il romanzo dev’essere ambientato e parlato nel Sud protestante della “cintura della Bibbia”, dove ci si stava da tempo scontrando con l’incredulità religiosa e la pochezza delle anime. In quel Sud, tuttavia, era ancora consueto «trovare la gente di campagna taciturna e coriacea, i braccianti, le mitiche signore anziane che si incontrano in città, le strade polverose, i pick up, le pubblicità della Dr Pepper, le chiese dei pentecostali, i manifesti dei fondamentalisti biblici che abbondano sulla strada intorno a Milledgeville, avvertimenti di dannazione eterna, esortazioni a pentirsi, assicurazioni che Gesù salva», come risulta evidente nello straordinario film che nel 1979 John Huston ha dedicato a questo romanzo.
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Eastrod, il paese nel Tennessee del protagonista di La saggezza nel sangue, Hazel Motes, in pochi anni è stato abbandonato da tutti, e lui è divenuto sempre più un freak, uno spostato irregolare e stravagante. Egli ricorda di aver seguito da giovane il nonno predicatore, il quale andava in giro «con Gesù nascosto nella testa come un pungiglione»; tuttavia, crescendo, Hazel «vide Gesù spostarsi da albero in albero, in fondo alla sua mente. Una figura selvaggia, cenciosa, che gli faceva accenno di volgersi indietro ed inoltrarsi nel buio dove avrebbe rischiato di mettere un piede in fallo». Così Hazel, dopo aver buttato il suo vestito militare, diviene un anti-predicatore della “Chiesa di Cristo senza Cristo”, affermando di non credere assolutamente in nulla e ricevendo da un semplice taxista una replica definitiva, come uno schiaffo: «Ecco il guaio di voi altri predicatori, disse, siete diventati tutti troppo bravi per credere in qualche cosa». Sarà proprio quel pungiglione del nonno che lo tormenterà per tutto il suo vagabondare, sino al drammatico epilogo.
Risuonano parole, nella prosa di O’Connor, che non hanno il minimo accento di falsità ideologica e di afflato slealmente emotivo, anche cattolico; parole che parrebbe impossibile sentire o affermare ancora, perché troppi predicano e nessuno sembra farne esperienza. In Flannery, invece, addirittura ogni simbolo è reso totalmente verosimile grazie alla qualità con cui lei riesce a rendere reale e ricco di significato l’oggetto letterario che tratta, in quello che la scrittrice chiama realismo delle distanze e che ci permette di vedere la Grazia in azione. Quando leggiamo i suoi racconti e i romanzi non possiamo banalmente riassumerli, perché siamo posti costantemente davanti a un accumulo di significato tale che ci fa consentire di dare credito alla profondità degli oggetti (si vedano che cosa diventa un “geranio” o un “tacchino” negli omonimi racconti, le scale in Un colpo di fortuna, un handicap in Brava gente di campagna), delle descrizioni (come il cielo all’inizio del cap. III de La saggezza nel sangue), addirittura delle frasi fatte e fastidiosamente ripetute (come, in Brava gente di campagna, espressioni quali “nulla è perfetto”, “così è la vita”, “tutti sono diversi” e “l’ho sempre detto, io”; o come i magnifici titoli quali La vita che salvi può essere la tua, Non si può essere più poveri che da morti, Un bravo uomo è difficile da trovare).
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Si consideri in particolare un solo esempio. Nel racconto del 1958, The Enduring Chill (“Malattia mortale”), il solitario e depresso venticinquenne Asbury torna a casa a Timberboro, da qualche parte in Georgia, perché si sente morire e non vuole farsi curare, perché solo lui sa tutto, e «quando qualcuno si crede intelligente, anche se è intelligente, non c’è modo di farlo ragionare, e il guaio era, per Asbury, che oltre all’intelligenza possedeva un temperamento artistico».
Egli vive la caratteristica dell’esteta sradicato, sino a quando qualcosa di eccezionale interviene nella sua noiosa e disperata quotidianità: «Sotto, la linea degli alberi era nera contro il cielo scarlatto, e formava un muro molto fragile, simile alla tenue difesa che lui aveva eretto nella sua mente per proteggersi da ciò che stava per accadergli...La vecchia vita in lui si era consumata. Ora, aspettava l’avvento della nuova... Capì che per il resto dei suoi giorni, fragile, devastato, ma durevole, sarebbe vissuto alla presenza di un terrore purificante. Gli sfuggì un debole grido, l’ultima, impossibile, protesta. Ma lo Spirito Santo, cinto di ghiaccio anziché di fuoco, proseguì, implacabile, la sua discesa».
Qualcuno ha parlato per Flannery O’Connor di un’estetica della violenza, e questo può essere vero se lo si considera alla luce del dialogo con un Dio che vuole essere vinto, com’è evidente nell’Incarnazione e nella passione della Croce, così come Dante insegna nel canto VI del Purgatorio e nel XX del Paradiso.
O’Connor ha perciò trovato uno stile nuovo e una qualità del tutto originale, perché non voleva ripetere la forma dei romanzi europei, soprattutto quelli dove «l'eroe moderno è l’escluso, la sua esperienza è priva di radici, può andare ovunque, non appartiene a nessun luogo, non essendo estraneo a nulla, finisce per estraniarsi da qualunque tipo di comunità basata su gusti e interessi comuni. I confini del suo paese, i confini del paese dell’eroe moderno, sono le pareti del suo cranio». Chi legge le opere di Flannery O’Connor, come fecero negli anni ’50, incredibilmente, le habitué di “Harper’s Bazaar”, può ben conoscere i motivi del suo successo in virtù della qualità e della novità del suo impatto, che pure comprende le perplessità di chi non se lo attendeva tanto obbligante e mai indifferente.