In questi giorni se vuoi essere preso sul serio all’aperitivo dei Buoni devi pronunciare due parole, possibilmente con sguardo accigliato e tono solenne: «insider trading». Se poi aggiungi «e anche aggiotaggio» (la congiunzione serve a suggerire che conosci la distinzione tra i due reati finanziari, pure se non ne hai la minima idea) rischi di vederti recapitata a casa la tessera ad honorem del Pd. Essì, perché l’isteria anti-trumpiana sta compiendo un salto di qualità, sta diventando espressamente isteria manettara, come nella migliore tradizione dell’establishment progressista italico da (almeno) trent’anni. E allora l’auspicio che monta nelle redazioni, viene rimbalzato nei talk televisivi, spunta nelle comunicazioni di esponenti politici, è un tintinnio unico, sempre più insistente, sempre più corale (lo spirito gregario è il vero collante della tribù radical): The Donald alla sbarra.
La guerra commerciale, con sullo sfondo la grande sfida geopolitica tra Aquila americana e Dragone cinese, ridotta a notitia criminis, cagnara giudiziaria: dalla trappola di Tucidide all’inchiesta della Procura. Il riferimento è all’ormai celeberrimo «Questo è un grande momento per comprare!» postato dal presidente su Truth alcune ore prima di ufficializzare il congelamento dei dazi. Ovviamente chi ha effettivamente comprato in quell’intervallo a prezzi bassi ha poi beneficiato del brusco rialzo di Wall Street. L’esclamazione, in ogni caso, rientra perfettamente in quella che è dagli albori la comunicazione politica di Trump, non esattamente all’insegna della continenza quanto piuttosto appunto dell’annuncio martellante.
"Via l'ora legale": la rivoluzione di Trump, cosa può cambiare
Donald Trump spinge per l’ora legale tutto l’anno. Il presidente degli Stati Uniti ha chiesto alla Camera e ...Ma tanto basta a Repubblica per colorare la prima pagina di tinte noir: «Su Donald l’ombra dell’insider trading». Poi all’interno i fatti sono evanescenti, per dirla con garbo, ma non importa, è un pezzo che sono stati sostituiti dalle narrazioni. Paolo Mieli (direttore del Corriere all’epoca dello scoop sull’invito a comparire spedito al primo Berlusconi, corsi&ricorsi mediatico-giudiziari) la butta là con modalità felpata nel salotto di Piazzapulita: «Ha fatto uscire un comunicato, poi ha sospeso i dazi.
Dà una prova in più al suo arricchimento fraudolento». Un concetto di “prova” assai elastico, diciamo, intanto l’enormità è passata con grazia Mielosa: Trump si è arricchito in modo fraudolento, è già (post)verità. Carlo Calenda aveva già ostentato certezze da par suo, ospite a L’Aria che Tira: «Si chiama aggiotaggio» (o presunzione di colpevolezza, fate voi). Perfino Enrico Letta si è destato dal letargo parigino, assicurando che «quel che è successo ha fatto guadagnare a chi era a conoscenza in anticipo delle dichiarazioni di Trump cifre simili al Pil di qualche Paese europeo». Non si sa perché, ha sentito il bisogno di aggiungersi al coro anche il governatore della Toscana, il dem Eugenio Giani: «Non possiamo vedere alternare questi umori che sanno tanto di insider trading». È la caccia al quarto d’ora di celebrità inquisitoria che deflagra anche sui social, #insidertrading è la lettera scarlatta da appicciare sulla fronte dell’Orco col toupet da parte di qualunque opinionista più o meno improvvisato (il tasso di improvvisazione è direttamente proporzionale al furore giustizialista).
Il Sogno Collettivo è il Puzzone sotto inchiesta, l’insider trading presunto come la comprovata pornostar Stormy Daniels, tutto fa brodo nel grande pentolone dell’antitrumpismo militante. Oltreoceano, peraltro, va in scena una sorta di “italianizzazione” del dibattito, perché alcuni esponenti democratici stanno appunto brigando per mettere sotto indagine il presidente. Tra tutte le esportazioni, quella dell’ipoteca giudiziaria sulla lotta politica è senz’altro la peggiore, dazi o non dazi.