Se l’establishment europeo è stato costretto a capire che il modo migliore per prevenire una guerra è essere inequivocabilmente capaci di vincerla, c’è chi, al confine orientale dell’Unione, cercava di spiegarglielo da tempo. Era il luglio del 1940 quando Vincas Kreve-Mickievicius, primo ministro lituano, venne convocato nel bel mezzo della notte dal ministro degli Esteri sovietico Vyacheslav Molotov.
Questi gli comunicò che «in futuro le piccole nazioni dovranno scomparire» e, dopo aver stanziato 20mila militari sovietici sul suo territorio, lo informò dell’imminente annessione. Estonia, Lettonia e Lituania si ricordano bene dell’antica lotta con la Russia per il dominio del Baltico. Stavolta, però, non si tratta solo della loro sopravvivenza nazionale - sia nel 1940 che alla fine degli anni Ottanta, quando i tre lottavano per l’indipendenza dall’Urss, l’Occidente se ne lavò le mani- ma di quella dell’Europa intera. Mentre l’Ue sonnecchiava, le Repubbliche si sono portate avanti e sono al lavoro per costruire una linea difensiva lungo i 965 chilometri di confine con Russia e Bielorussia: circa mille bunker di cemento, trincee, fossatianticarro, ricci cechi (travi in metallo saldate a forma di tripode), denti di drago (piramidi in cemento utilizzate per ostacolare i veicoli blindati), filo spinato, depositi di munizioni e rifugi per i rifornimenti.
La convinzione, ha dichiarato al Telegraph Gabrielius Landsbergis, ex ministro degli Esteri della Lituania, è che «il momento più pericoloso sarà subito dopo un cessate il fuoco in Ucraina». In questo senso va letta la decisione, presa anche da Polonia e Finlandia, di ritirarsi dal trattato di Ottawa che mette al bando le mine antiuomo («Non possiamo combattere la Russia con una mano legata dietro la schiena», ha spiegato Raimond Kaljulaid, capo della delegazione estone presso la Nato). La Lituania, inoltre, ha recentemente abbandonato anche la Convenzione di Oslo, il trattato internazionale che vieta l’uso delle bombe a grappolo. A dimostrazione del fatto, ha spiegato il ministro della difesa lituano Dovile Sakaliene, che «siamo pronti a usare tutto per difenderci».
Secondo un rapporto dell’intelligence danese, una volta conclusa o congelata la guerra in Ucraina, la Russia sarà in grado di riarmarsi rapidamente. In appena sei mesi Mosca potrebbe «combattere una guerra locale in un Paese confinante», in due anni potrebbe essere in grado di «combattere una guerra regionale contro diversi Paesi nella regione del Mar Baltico», in cinque potrebbe arrivare a «una guerra su larga scala» in Europa. Nel 2023 la Nato ha firmato un piano per difendere “ogni centimetro” dei Paesi baltici e schiera, a rotazione nei tre stati, forze multinazionali delle dimensioni di un battaglione.
Non solo: la Lettonia è difesa da una forza internazionale guidata dal Canada, una brigata tedesca protegge la Lituania e circa mille soldati britannici proteggono l’Estonia. È abbastanza? Secondo Tallinn, Riga e Vilnius no. Vogliono brigate pronte al combattimento e una presenza Nato permanente. La Lituania, inoltre, non può permettersi di guardare solo a est: il confine ostile si estende a sud-ovest, dove c’è la roccaforte russa di Kaliningrad. Sono altri 114 chilometri da difendere. A sud, infine, si trova il corridoio di Suwałki, 65 chilometri a cavallo del confine tra Lituania e Polonia, strategicamente cruciale per il collegamento tra l’oblast’ di Kaliningrad e la Bielorussia.
Sia Kaliningrad che la breccia di Suwałki sono potentissime armi nelle mani russe e Mosca potrebbe sfruttarli per isolare gli Stati baltici via terra e poi bloccarli via mare. Secondo le stime, anche con il supporto americano, la Nato non avrebbe più di 72 ore per difendere il corridoio prima che la Russia lo chiuda con un’offensiva su due fronti. A maggior ragione, ora che il Pentagono sta valutando di ritirare fino a 10mila soldati da Romania e Polonia, sui 20mila schierati da Joe Biden nel 2022. Il potenziamento della difesa orientale «è una corsa contro il tempo», ha detto Kaljulaid. Il Cremlino si starà già domandando «perché dare all’Europa il tempo di riarmarsi, rifornirsi e organizzare la propria difesa?».