In queste settimane tutti stanno seguendo le mosse dell’amministrazione guidata da Donald Trump per mettere fine ai due conflitti in corso tra Russia e Ucraina e tra Israele e Hamas. Sta invece passando più sottotraccia la tela che gli Stati Uniti stanno tessendo per indurre l’Iran ad abbandonare le sue velleità nucleari. Questo, in realtà, è un fronte di primaria importanza per la politica estera, e non solo per quella a stelle e strisce: l’Iran è il “grande Satana” (per fare il verso agli ayatollah) del terrorismo mondiale e di quello in Medio Oriente in particolare, dato che finanzia e arma dai primi anni Ottanta tutti i gruppi attivi nella regione e anche oltre. Senza contare che Teheran con l’atomica sarebbe una minaccia non solo per Israele, ma anche per l’Europa.
Più di vent’anni fa George W. Bush aveva indicato la Repubblica Islamica come uno dei membri del cosiddetto Asse del male. E la sua amministrazione era stata sull’orlo di uno scontro armato con gli ayatollah. Poi le acque si erano placate e l’Occidente aveva inviato gli “ispettori” a vedere cosa combinavano gli iraniani con l’uranio. Teheran, da parte sua aveva inizialmente collaborato, salvo poi respingere le ispezioni e potenziare le sue infrastrutture per l’arricchimento dell'uranio di fronte a un’amministrazione Biden che ha lasciato il mondo sprofondare nel caos per quattro anni. Da tre mesi, tuttavia, la musica a Washington è cambiata, anche nei confronti del regime iraniano. Trump e i suoi l’hanno inizialmente presa alla larga, procedendo con il fare il vuoto attorno all’Iran tarpando le ali a Hezbollah in Libano, minacciando Hamas di scatenare l’inferno a Gaza e colpendo ripetutamente e in modo sempre più duro in Yemen i ribelli Houthi. Tutti “attori” grazie ai quali l’Iran era in grado di tenere alta la tensione in Medio Oriente senza tuttavia metterci la faccia. Nei giorni scorsi, tuttavia, i continui colpi inferti agli Houthi hanno indotto Teheran a ritirare dallo Yemen quel poco di operativi che aveva nel Paese, per il timore che cadessero vittime degli attacchi aerei americani. Nel frattempo, per fare la voce ancora più grossa, Washington ha trasferito (badando bene a che tutti lo sapessero) un numero crescente (prima quattro e ora sei) dei suoi potentissimi bombardieri stealth B-2 presso la base di Diego Garcia nell’Oceano Indiano, in una posizione invidiabile per poter attaccare sia lo Yemen sia lo stesso Iran. E ha aggiunto una seconda portaerei all’imbocco del Golfo Persico. Allo stesso tempo, un’azione di pressing diplomatico-militare è partita nei confronti del governo dell’Iraq, Paese nel quale da anni sono attive armatissime milizie filo-iraniane, responsabili di attacchi verso basi e postazioni americane nel Paese e in Siria, oltre che ripetuti lanci di droni sul territorio israeliano da quando è iniziato lo scontro tra Gerusalemme e Hamas.
Trump, alta tensione con l'Iran: "Accordo sul nucleare o vi bombarderemo"
Alta tensione tra Usa e Iran. Nei giorni scorsi quest'ultimo ha trasmesso la sua risposta alla lettera di Donald Tru...
Il tutto mentre lo stesso Trump minacciava apertamente il regime di Teheran paventando una serie di attacchi aerei sul territorio iraniano e sui siti nucleari in particolare, qualora gli ayatollah non fossero scesi a più miti consigli circa la prosecuzione del loro programma atomico. Ebbene, questa molteplicità di azioni ha portato, nelle ultime ore, a due sviluppi clamorosi, che sarebbero stati del tutto inimmaginabili quando ancora alla Casa Bianca c’era Joe Biden. Ieri la Reuters ha dato notizia che, dopo i ripetuti avvertimenti ricevuti da Washington, le quattro maggiori milizie filo-iraniane stanziate in Iraq (Kataib Hezbollah, Nujabaa, Kataib Sayyed al-Shuhada and Ansarullah al-Awfiyaa) consegneranno le armi per evitare una escalation del confronto con gli Usa. «Trump è pronto a una escalation militare, lo sappiamo, e vogliamo evitare uno scenario così negativo per noi», ha detto all’agenzia di stampa un comandante di Kataib Hezbollah. I vertici delle milizie sciite hanno anche dichiarato che il loro principale alleato, le Guardie Rivoluzionarie Iraniane (IRGC), aveva dato loro il benestare per prendere qualsiasi decisione ritenessero necessaria per evitare di essere trascinati in un conflitto potenzialmente rovinoso con gli Stati Uniti e Israele.
L’altra notizia, annunciata ieri da Trump, è che da sabato, in Oman, inizieranno i colloqui tra gli Stati Uniti e l’Iran sul programma nucleare di Teheran. Le delegazioni attese nella capitale Muscat saranno di alto profilo, con il ministro degli Esteri Abbas Araghchi a guidare quella iraniana e l’inviato speciale per il Medio Oriente Steve Witkoff per conto degli Usa. Si tratterà della prima volta in dieci anni in cui rappresentanti dei due governi si incontreranno faccia a faccia. L’obiettivo dei colloqui lo ha spiegato, da Washington dove lunedì ha incontrato Trump alla Casa Bianca, il premier israeliano Benjamin Netanyahu: «Che l’Iran non abbia mai armi nucleari. Uno scenario- ha dettoche può essere ottenuto con un accordo. Ma se l’Iran rifiuterà di arrivare a un accordo o cercherà comunque di prendere tempo, allora non resterà che l’opzione militare».