Donald Trump, da Musk a Milei: qualche dritta liberista per aiutarlo

Il patron di X e il presidente argentino hanno inviato al capo della Casa Bianca un segnale importante, un invito alla trattativa sui dazi
di Daniele Capezzonemartedì 8 aprile 2025
Donald Trump, da Musk a Milei: qualche dritta liberista per aiutarlo
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Si può avere grande simpatia per Donald Trump e nello stesso tempo dargli dolcemente torto sui dazi. Senza polemiche acrimoniose, senza sceneggiate, senza gesti plateali. E soprattutto senza il gusto dello sfascio, la libidine da devastazione, il piacere del “tanto peggio, tanto meglio” che impazza a sinistra. Ecco, nelle ultime trentasei ore, si sono registrati tre segnali eloquenti di come, dentro e fuori gli Usa, il mondo filorepubblicano non sia affatto un monolite, e anzi cerchi di offrire a Trump una exit strategy o comunque delle sponde per evitare il peggio. O almeno per facilitare gli auspicabili negoziati con gli altri paesi. E, come vedremo, perfino dalle parti di Bruxelles, dove gli amici di Trump non sono certamente numerosi, ieri si è accesa una lampadina di saggezza con una prima proposta finalmente ragionevole (però, sia chiaro, ancora troppo parziale e piuttosto sbilanciata a favore delle produzioni “pesanti” tedesche) da parte di Ursula von der Leyen. Ci arriveremo tra poco.

LA MATITA DI FRIEDMAN
Primo caso. Ieri mattina (ora italiana) Elon Musk ha postato sul suo profilo X il celeberrimo video in cui il premio Nobel Milton Friedman, tenendo in mano una semplice matita, spiegava come nessun uomo potesse realizzarla da solo. La spiegazione dell’economista molti decenni dopo - rimane ineguagliabile per semplicità e profondità: il legno viene dallo stato di Washington o dal Canada, la sega per tagliarlo è stata fatta con acciaio proveniente da chissà dove, la grafite arriva dalle miniere del Sud America, la gomma dalla Malesia, e così via. È la meravigliosa entità chiamata “mercato”: cioè la cooperazione spontanea tra uomini che non si conoscono, tra individui e imprese lontane tra loro, e che tuttavia trovano reciproco beneficio dalla vicendevole interazione. Nel postare il video, è impensabile che Musk non abbia cercato di rivolgere a Trump un dolce avvertimento: è impossibile (o molto lento e insieme molto costoso) spostare tutte le produzioni nel proprio paese. E allora meglio non esagerare, meglio non terremotare il commercio mondiale. Se ci pensiamo, è la conferma di quanto proprio Musk, in dialogo con Matteo Salvini, aveva auspicato intervenendo in collegamento con il congresso leghista: «Un futuro con zero dazi tra Usa e Ue».

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Secondo caso. Ieri il Wall Street Journal, quotidiano non certo di impostazione progressista, è tornato a sollevare dubbi sulla strategia dei dazi. Ma in questo caso non si è rivolto a Trump, bensì ai paesi suoi interlocutori, invitandoli a “vedere il bluff”. E come? Il Wsj suggerisce ai paesi che trattano con gli Usa di disporre zero dazi e zero tariffe sugli scambi reciproci di beni e servizi. Un modo per testare la buona volontà negoziale di Trump. Terzo caso. Muovendosi in quest’ordine di idee, il leader argentino Javier Milei ha già deciso un drastico taglio delle tariffe all’importazione su numerose merci. Un inequivocabile segnale di apertura pro mercato e di disponibilità alla migliore trattativa possibile.

SEGNALI DA BRUXELLES
E- come accennavo- perfino dalle parti di Bruxelles si fa strada un minimo di ragionevolezza. Ieri è stata Ursula von der Leyen a proporre tariffe zero sui beni industriali. Finalmente un primo buon segnale, anche se molto parziale e assolutamente da integrare: parlare solo di beni industriali, infatti, coinvolge le produzioni “pesanti” tedesche (e anche, a onor del vero, la nostra componentistica), ma non include - ad esempio - l’agroalimentare italiano. Come si vede, a parte la novità bruxellese, si tratta di segnali altamente significativi, alcuni rivolti direttamente a Trump, e altri diretti a (o provenienti da) paesi suoi interlocutori. È un potente invito alla trattativa, e a una trattativa che non sacrifichi le ragioni delle imprese e dei consumatori, cioè di tutti noi. Esiste dunque negli Usa una cultura della libertà che sa stare con Trump (e anzi lo applaude contro il politicamente corretto o nel contrasto all’immigrazione illegale o in politica internazionale), ma contemporaneamente sa consigliarlo e magari dissuaderlo - quando si incammina su strade pericolose.