Dopo i paradisi fiscali, dopo i dazi di Trump nascono i paradisi tariffari? Alla notizia che San Marino avrà un dazio del 10% che è la metà di quello con l’Unione Europea, subito il telefono della Camera di Commercio locale ha iniziato a venire intasato dalle chiamate di imprese non solo italiane interessate a capire se aprire una sede nella Serenissima Repubblica potrebbe consentire loro di pagare tariffe più basse per esportare negli Usa. Uno scenario che in realtà non è esattamente percorribile.
IL TRUCCHETTO
Come spiegato in questi giorni dal presidente di ExportUsa, Lucio Miranda: «Le norme doganali si basano sull’origine della merce. Avere una sede operativa a San Marino non basta, perché conta il luogo di produzione. Quindi un’azienda italiana dovrebbe spostare la produzione sul Titano, tutta o in gran parte, per avere il dazio al 10%. Solo in quel caso il prodotto potrebbe essere considerato sammarinese». Ovviamente, comunque, si tratta di un tema ancora in divenire, quindi è difficile fare valutazioni ora.
San Marino è uno di quei microstati europei che per le loro dimensioni sono strettamente integrate a un membro dell’Unione, ma non vengono fatte entrare a loro volta proprio perché potrebbero costituire problemi: sia per calcolare il numero di eurodeputati loro concessi (già Cipro, Lussemburgo e Malta con sei a testa sono fortemente sovrarappresentati in rapporto alla loro popolazione); sia per non peggiorare ulteriormente il rompicapo delle decisioni alla unanimità; sia perché anche per loro il costo diventerebbe insostenibile.
STATUS PARTICOLARE
Andorra. Monaco, San Marino e Città del Vaticano usano comunque l’euro: Andorra senza accordi ufficiali. La stessa Andorra ha un’unione doganale con l'Unione europea dal 1991, anche se non è nei territori doganali dell’Ue per i prodotti agricoli. Monaco applica alcune politiche dell’Unione europea attraverso la sua speciale relazione con la Francia, è parte a pieno titolo del territorio doganale dell’Ue e dell’area Iva e applica molte misure dell’Unione relative all’Iva e all’accisa.
San Marino ha un confine aperto (anche se non fa parte formalmente di Schengen) e un’unione doganale (dal 2002, comprendente l’agricoltura) con l’Unione europea. La Città del Vaticano ha un confine aperto con l'Italia.
Ha invece il franco svizzero il Liechtenstein, che però fa parte dello Spazio Economico Europeo. Come San Marino, anche Andorra e Monaco avranno una tariffa del 10%, mentre la Città del Vaticano è addirittura nella lista degli 11 Paesi non colpiti da tariffe: come Canada e Messico, per i rapporti della zona di libero scambio Usmca; Bielorussia, Canada, Corea del Nord e Russia, che sono però sotto sanzioni; e anche Burkina Faso, Palau, Seychelles e Somalia. Invece, il Liechtenstein starà addirittura al 37%! Dunque, alle imprese del principato converrebbe andare in Svizzera, al 31%; o addirittura nella pure confinante Austria, che come Ue sta al 20%. Insomma, lo statarello alpino riesce ora ad essere un paradiso fiscale e un inferno tariffario in contemporanea.
La stessa Unione Europea dà poi uno status particolare alle dipendenze e territori d’oltremare dei propri Stati membri. Alcuni, come la Groenlandia, sono classificati come Paesi e territori d’oltremare: non fanno parte dell’Unione europea, non sono membri dello spazio Schengen, il diritto derivato comunitario non vi si applica direttamente, ma possono beneficiare di fondi europei di sviluppo della Banca centrale europea, i loro cittadini votano alle elezioni europee e comunque il loro territorio è integrato al Paese di appartenenza. Altri, come i dipartimenti d’oltremare francesi, sono invece classificati come Regioni Ultraperiferiche, e sono Ue, pur con alcune eccezioni. Comunque è stato dato il dieci per cento tra le prime alle olandesi Aruba, Aruba, Curaçao e Sint Maarten, nei Caraibi e alla Polinesia Francese; tra le seconde alle francesi Guadalupa, Martinica, Guyana Francese e Mayotte. Ma alla pure francese Saint-Pierre e Miquelon, che sta nel primo gruppo ed è al largo del Canada, avrà addirittura il 50%!