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Donald Trump, ecco il suo cerchio magico cattolico

Vance e Rubio, le due cariche più importanti dopo il Potus, sono fedeli della chiesa di Roma. I "papisti" lasciano i Dem e persino Donald...
di Marco Respinti lunedì 7 aprile 2025

4' di lettura

 I presidenti degli Stati Uniti firmano con «God bless America». Insediandosi, giurano sulla Bibbia. Ma che un sacerdote cattolico addirittura benedica l’Inauguration Day, come ha fatto don Francis Mann della diocesi di Brooklyn aspergendo Donald Trump il 20 gennaio, è singolare. Un po’ perché tutti credono di sapere che gli Usa siano un Paese protestante e un po’ perché Trump ha fama di sciupafemmine (più ex, in verità, che flagrante) e di mercante per il quale ogni cosa ha un prezzo (e gli sconti valgono bene una Messa) o addirittura progetterebbe “deportazioni” in massa di poveri cristi da far impallidire Stalin, Adolf Hitler o Mao Zedong.

In realtà, Trump è un presidente religiosissimo. Ovvero, il popolo delle Chiese americane è convinto che sia l’uomo giusto nel posto giusto al momento giusto, e qualcuno persino l’uomo della Provvidenza. La Provvidenza la tirò del resto in campo Papa Leone XIII suggerendo, nell’enciclica Longinqua Oceani del 1895, che la libertà religiosa garantita dalla Costituzione americana abbia impedito al Paese di sdraiarsi sulla maggioranza (fra i 55 Padri costituenti del 1787 i cattolici erano solo tre) e permesso invece lo sviluppo della Chiesa Cattolica. Si potrebbe insomma dire che l’amicizia fra il protestante Trump e il cattolicesimo sia antica quanto gli Stati Uniti.

Certo, nel DNA degli Stati Uniti la libertà religiosa e quell’essere un po’ “naturalmente cattolici” convivono con l’opposto esatto, un nativismo anti-cattolico che ha scatenato anche persecuzioni aperte e discriminazioni palesi. Ma che il 47° presidente degli Stati Uniti sia circondato da cattolici di peso specifico che fanno la differenza è meno esotico di quanto si possa immaginare.

I PROTAGONISTI

Anzitutto perché Trump, anche se non viene da lì, ha imparato a ritagliarsi uno spazio vitale grande dentro il Partito Repubblicano. Dal 1964 i Repubblicani sono infatti progressivamente diventati una formazione conservatrice (non lo erano prima, non lo erano in origine) per il quale «Dio, patria e famiglia» non solo suona bene. Phyllis Schlafly (1924-2016) è stata pioniere e madrina del movimento pro family americano, dileggiata dai woke proprio per quello, presbiteriana convertita al cattolicesimo, conservatrice di ferro. Il suo penultimo libro, uscito poco prima della morte, s’intitola How the Republican Party Became Pro-Life e testimonia la storia di un percorso forse unico in Occidente; l’ultimo s’intitola The Conservative Case for Trump, arrivato in libreria il giorno dopo la sua scomparsa. E Austin Ruse, eccellenza del mondo pro life e soprannumerario dell’Opus Dei, nel 2020 ha pubblicato The Catholic Case for Trump per ribadire come la partita non fosse affatto chiusa. Chi studia il conservatorismo statunitense ha sentito nei decenni ripetere che la leadership del movimento sia stata cattolica; non è vero, ma i cattolici ne sono stati il motore e cattolici sono stati molti intellettuali di riferimento, e questo la dice lunga sulla percezione che oltre l’Atlantico si ha del rapporto fra cattolicesimo e Destra.

Sì, la percezione non è la stessa che delle cose americane sia ha da questa parte dell’Oceano. Da noi pensiamo che i protestanti born-again siano tutto. Sono molto, moltissimo, certo. Ma oggi quel mondo sarebbe impensabile senza il rapporto con il cattolicesimo, a cui peraltro diversi hanno finito per convertirsi. Un’altra cosa che su questa sponda del Grande Mare ripetiamo è che la casa naturale dei cattolici americani sia il Partito Democratico. Sbagliato. Era così, ma non lo è più. Per motivi storici, e pure per farsi perdonare lo schiavismo, dall’inizio del Novecento i Democratici si sono riciclati come il partito delle minoranze, fra cui i cattolici, soprattutto irlandesi, italiani, polacchi e tedeschi, invisi ai WASP del Partito Repubblicano. Ma il mondo è lentamente (e a volte nemmeno) cambiato. Il primo presidente cattolico degli Stati Uniti, John F. Kennedy, sabotò il concetto di laicità dichiarandosi impermeabile alla propria fede, mentre tutti in America si aspettano il contrario (ciò che temono è infatti solo che una fede unica venga imposta a tutti, ma questo è un altro paio di maniche). Il secondo, Joe Biden, è stato un disastro totale proprio anche sul piano della religione pubblica, tanto da imbarazzare più di un pulpito per quella guerra aperta al cristianesimo che ha costretto Trump a istituire un Ufficio del nuovo governo che adesso ne neutralizzi gli effetti. Del resto, molti cattolici americani hanno considerato cattoliche le politiche di due presidenti protestanti come Ronald Reagan (presbiteriano) e George W. Bush (metodista).

Nelle elezioni di novembre Trump si è assicurato circa il 56% del voto cattolico e fra i cattolici bianchi è arrivato prossimo al 60%. Ha scelto cattolici per ministeri e posti chiave dell’Amministrazione, fra cui J.D. Vance alla vicepresidenza e Marco Rubio alla Segreteria di Stato, cioè il ministero più importante di tutti, e anche la sua eminenza grigia, Steve K. Bannon, è cattolico.

La stragrande maggioranza dei cattolici Usa che non ha appeso la fede al chiodo sceglie dunque Trump e Trump, abilissimo venditore, lo ha capito da tempo. Rispetto a quattro anni fa sembra quasi averci fatto un calcolo preciso, e magari anche a ciò si deve il passo più spedito e diritto della sua politica. Nella Chiesa di Roma continua ugualmente ad avere molti nemici, ma il cattolicesimo americano lo percepisce come l’ultima chance. Quel «Buon Natale» che Trump ha promesso di riabilitare dopo che il politicamente corretto lo aveva bandito è diventato un meme che sventola come una bandiera dell’anti-progressismo.

Poi ci sono Elon Musk, il rapporto opaco con Vladimir Putin, lo scaricamento dell’Ucraina: tutte cose che a molti cattolici danno grattacapi seri.
Ma i cattolici lo sapevano. Trump è Trump, e non si fa pilotare. Saranno quattro anni tutti da scrivere.

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