Francesca Albanese resta all'Onu: l'odio anti-Israele paga

L'Onu le conferma fino al 2028 l'incarico di relatrice sulla Palestina. Proprio lei, che accusa #Israele di genocidio
di Andrea Morigidomenica 6 aprile 2025
Francesca Albanese resta all'Onu: l'odio anti-Israele paga
4' di lettura

Per assicurarsi la riconferma fino al 2028 come relatrice speciale Onu per i diritti umani nei Territori occupati dal 1967, Francesca Albanese non aveva scelta: doveva schierarsi. In guerra, l’equidistanza non esiste. O, meglio, chi sta in mezzo ai campi di battaglia è destinato a buscarle da entrambi i contendenti.

Siccome al Palazzo di Vetro la bilancia pende da una parte sola, non quella dei palestinesi quanto piuttosto quella dei musulmani antisemiti che li hanno condotti sulla via del jihad, sarebbe stato controproducente mettersi su una strada laterale e neutrale per riottenere l’incarico conquistato nel 2022. Guai se la discussa accademica italiana avesse espresso solidarietà ai contestatori che da settimane scendono in piazza, a rischio della vita, per chiedere a Hamas di uscire da Gaza per favorire la pace. Da lei, che nel corso degli anni ha ripetutamente esortato i palestinesi alla “resistenza” armata, non se lo attendeva nessuno, peraltro.

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IL MANIFESTO
Sarebbe ancora meno credibile dopo il suo Rapporto del 9 giugno 2023 all’Assemblea generale dell’Onu sui presunti crimini commessi dallo Stato ebraico nei confronti della popolazione di Gaza e della Cisgiordania. È stata la sua tesina-manifesto, 21 paginette (20 se non si conta il frontespizio) presentate per accusare Israele di far pagare agli arabi il conto per il genocidio subito dagli ebrei a opera dei nazionalsocialisti nel secolo scorso. Delle stragi del 7 ottobre 2023 non aveva potuto scrivere nulla, per una questione cronologica, ma ci avrebbe pensato più tardi, dichiarando che le vittime «non sono state uccise a causa del loro giudaismo, ma in risposta all’oppressione di Israele».

Fra i primi a lodare l’impegno della pasionaria della loro causa, l’11 luglio, sono i vertici di Hamas. Sebbene Australia, Canada, l’Unione Europea, il Giappone, il Regno Unito e gli Stati Uniti d’America li abbiano inseriti nella lista nera delle organizzazioni terroristiche islamiche, c’è una parte ancora consistente del mondo che li sostiene per questione di puro antisemitismo. Perciò le bande armate finora sono sopravvissute sotto l’ala dell’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, che consentiva ai tagliagole più sanguinari di infilarsi una casacca blu e spacciarsi per operatori umanitari mentre partivano all’attacco del nemico sionista. È grazie alle scuole e ai libri di testo finanziati dall’Unrwa (e anche dagli Stati che condannano i terroristi islamici) che migliaia di bambini sono stati indottrinati all’odio verso gli ebrei e sono state coltivate vocazioni al martirio suicida. Tanto, che differenza passa fra morire da kamikaze o come scudi umani, all’interno degli edifici delle Nazioni Unite utilizzati come basi peri lanciamissili? Anche i piccoli profughi arabi non hanno scelta. A differenza dell’Albanese, l’unica alternativa per loro è morire di fame perché i terroristi islamici sequestrano tutti gli aiuti alimentari.

Forse tutto questo rientrerebbe nelle competenze della relatrice speciale, che tuttavia relega tutta la questione a una citazione (in nota) di un lavoro di ricerca di Human Rights Watch, ribaltando sull’Autorità nazionale palestinese ogni responsabilità della repressione interna. Anzi, l’esperta arriva ad affermare, al punto 17, che è Israele a perseguitare i gay palestinesi, quando è noto a tutti che vengono giudicati secondo le regole della sharia, e condannati a morte. Del resto, del boia Yahya Sinwar, condannato a numerosi ergastoli per aver trucidato dei connazionali- anche perché sospettati di atti omosessuali - e poi divenuto capo di Hamas, era riuscita a dire soltanto che era stato eliminato «in modo abbastanza disumano» e che semmai avrebbe preferito vederlo alla sbarra davanti alla Corte Penale Internazionale.

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PROCEDURA VIOLATA
Cioè quello stesso tribunale, dove il procuratore capo Karim Khan, un musulmano anglo pakistano, su ispirazione del Sudafrica razzista, accusa Israele di genocidio. È il sistema dell’Onu, ente di cui si evidenzia l’inutilità in modo particolare in coincidenza con le crisi e i conflitti. Alla nomina dell’Albanese, ufficializzata ieri, si sono opposti senza successo i rappresentanti di numerosi Stati membri del Consiglio dei Diritti Umani, che ha sede a Ginevra, mentre al presidente dell’Assemblea Generale dell’Onu, Antonio Guterres, il 3 aprile, era giunta anche una diffida formale da parte di UN Watch circa la violazione delle procedure che hanno portato alla decisione.

Senza contare lo scandalo seguito all’omessa dichiarazione di conflitto di interessi, benché il marito di Francesca Albanese, Massimiliano Calì, fosse stato consigliere del ministero dell'Economia nazionale dell’Autorità Nazionale Palestinese. E ignorando anche l’accusa rivolta alla stessa Special Rapporteur di aver accettato onorari e pagamenti da gruppi di attivisti della causa palestinese. Ma al rappresentante di Un Watch, Hillel Neuer, è stata tolta la parola mentre esponeva i contenuti della sua ultima relazione che definisce l’Albanese «un lupo travestito da agnello»: 60 pagine che vale la pena di leggere.