Il mondo si riarma: i due Paesi europei più pronti alla guerra

di Mirko Moltenilunedì 31 marzo 2025
Il mondo si riarma: i due Paesi europei più pronti alla guerra
9' di lettura

 L'avvento di Donald Trump alla Casa Bianca fa prospettare per i prossimi anni un obbiettivo di spesa militare attestato sul 5% del PIL per i paesi alleati degli Stati Uniti, quando già il requisito precedente del 2% caldeggiato da anni in ambito Nato sembrava di difficile raggiungimento, in tempi brevi, da parte dell'Italia, che al momento spende per la Difesa circa l'1,5% del Pil.

Esistono però molti paesi la cui importanza politico-militare, nonché le caratteristiche di superficie e popolazione, sono poco diverse da quelle dell'Italia, che dedicano alle forze armate una notevole fetta della loro ricchezza nazionale. Nazioni che spesso devono fronteggiare minacce o crisi assai più dirette, rispetto a quelle dell'Italia. Ciò non toglie che la posizione strategica di ponte fra Europa, da una parte, e mondo afroasiatico, dall'altra, costituisca anche per il nostro paese una sfida da raccogliere sulla base della dottrina del “Mediterraneo allargato”, che già ha visto le nostre forze armate impegnate in avanguardia nei mari dell'Africa e nella fascia del Sahel. Sarà quindi interessante passare in rassegna alcune potenze regionali protagoniste del riarmo globale e che possono essere paragonate, per dimenisoni o per obiettivi strategici, all'Italia.

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POLONIA

La Polonia si considera in prima linea contro la Russia, storicamente, da sempre, e a maggior ragione negli ultimi tre anni, con la guerra in Ucraina e la tensione crescente ai confini con il territorio russo di Kaliningrad e con la Bielorussia alleata di Mosca, specie presso la zona detta “corridoio di Suwalki”. Le lezioni della guerra ucraina e il potenziale teatro di conflitto caratterizzato dalle pianure dell'Est hanno portato Varsavia a optare soprattutto per sviluppare l'esercito terrestre e la componente corazzata.

Nel 2025 i polacchi prevedono di spendere nella Difesa ben 187 miliardi di zloty, cioè 43,6 miliardi di euro. È il 4,7% del Pil, praticamente quasi in linea con i sogni di Trump. La cifra è in costante aumento, poiché nel 2024 le spese militari polacche erano state di 159 miliardi di zloty, ovvero 37 miliardi di euro, pari al 4,2% del Pil. Le forze armate polacche stanno aumentando rapidamente il numero di uomini, dai 148.000 del 2022 sono arrivati a 216.000 nel 2024 e progettano di arrivare a una forza di 300.000 effettivi. Contro la Russia, sanno che è importante la quantità. Ambiziosi sono i piani per i carri armati.
Dal 2023 Varsavia ha comprato 116 carri M1 Abrams di vecchie versioni a cui però nel 2025 si aggiungeranno 250 Abrams della nuova versione Sepv3 al costo di 4,75 miliardi di dollari. Per una cifra simile gli USA stanno consegnando anche 16 sistemi antiaerei Patriot, con scorta di 208 missili. Altro importante fornitore della Polonia è la Corea del Sud. Seul sta consegnando, per 5,8 miliardi di dollari, ben 180 carri armati Hyundai K2 Black Panther e 212 semoventi K9 Thunder, forniture che saranno completate nel 2026. Ai polacchi verrà inoltre concessa la licenza di produzione locale di 820 carri K2 negli stabilimenti PGZ di Radom, a partire dal 2026. Sempre dai sudcoreani, l'aviazione polacca avrà 48 caccia leggeri KAI FA-50, in aggiunta ai 32 caccia F-35 in arrivo dall'America. L'Italia ha la sua parte nel business con 32 elicotteri Agusta-WestlandAW-149, orgoglio del gruppo Leonardo, in versioni da appoggio tattico, guerra elettronica e ricognizione. Gli elicotteri italiani verranno assemblati nello stabilimento polacco PZL di Swidnik, di proprietà di Leonardo.

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FINLANDIA

L'adesione della Finlandia alla Nato nel 2023 ha definitivamente archiviato la neutralità di lungo periodo ereditata dai tempi della Guerra Fredda da Helsinki, che pure ha sempre temuto il colosso russo. L'ingresso nell'alleanza atlantica ha di colpo reso più pericolosa l'estesissima frontiera di 1340 km con la Russia, divenuta ora il più lungo confine terrestre fra la Nato e il gigante orientale. I finnici si sono così decisi a programmare un deciso aumento delle loro spese militari per non farsi trovare impreparati, tenuto conto che l'allora Unione Sovietica li attaccò nel lontano inverno 1939-1940 sottraendo loro parte della regione della Carelia. Attestata negli anni passati fra l'1,5 e il 2% del Pil, la spesa militare finlandese è via via cresciuta fino a toccare i programmati 6,8 miliardi di dollari, circa il 2,5% del Pil, per il 2025. Ma è solo l'inizio poiché Helsinki prevede di anno in anno di aumentare gli investimenti in armi e soldati fino a un obbiettivo di 11,5 miliardi di dollari nel 2032, ovvero il 3,3 % del Pil. Non il 5% trumpiano, ma sempre un passo a gamba tesa per la nazione nordica.

Gran parte dell'esborso, 1,8 miliardi, è dovuto all'acquisto dei caccia F-35 dall'America, di cui sono attesi 64 esemplari, i primi dei quali consegnati quest'anno per diventare operativi dal 2026 in basi in Lapponia. Imitando la vicina Svezia, anche la Finlandia addestra i suoi piloti a utilizzare come basi d'emergenza tronchi di autostrade civili in mezzo alle foreste, per resistere a un'invasione russa. Poichè, inoltre, la lunghissima frontiera passa da zone boschive e lacustri spesso disabitate o sguarnite, grande importanza viene assegnata ai droni da pattuglia per evitare infiltrazioni russe. La fabbrica finnica di droni Insta ha annunciato un nuovo ordigno, lo Steel Eagle, sviluppato insieme all'Ucraina sulla base delle esperienze di guerra. Un'altra celebre fabbrica militare finlandese, la Patria, inizierà nel 2025 le consegne all'esercito del suo nuovo mortaio da 120 mm Tremos M3, a costruzione modulare e flessibile, per poter essere spostato facilmente su veicoli. È un esempio dell'incentivo alla mobilità di una fortissima artiglieria su cui punta Helsinki per difendere un territorio vasto e impervio, oltre al puntare sul mantenimento in efficienza di un bacino di riservisti che è dieci volte superiore ai 24.000 effettivi del tempo di pace.

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TURCHIA

Pur membro della Nato, la Turchia degli ultimi anni ha seguito una politica sempre più indipendente sulla base della sua centralità geografica a cavallo fra Europa e Asia. Perno della visione “neo-ottomana” del presidente Erdogan è il ristabilire l'antica influenza turca su vaste regioni soggette nei secoli passati ai sultani di Istanbul, a cominciare dalla Libia, fin dal 2020, e per culminare alla fine del 2024 con una Siria divenuta satellite dopo la conquista di Damasco da parte dei jihadisti alleati di Ankara.

Il controllo del mare e in particolare degli stretti fra Mediterraneo e Mar Nero hanno spinto Ankara a sviluppare una flotta che di recente ha anche rischiato di scontrarsi con quella greca per le acque territoriali di varie isole. La dimensione marittima è stata incentivata da un risultato storico, come la realizzazione della prima portaerei al mondo dedicata ai droni, la Anadolu, varata dai cantieri Sedef di Istanbul ed entrata in servizio nel 2023. La portadroni è costata 1 miliardo di dollari, ma al di là dell'effetto propagandistico non è ancora chiaro quanto possa essere efficace. Un esercito da 350.000 uomini fa della Turchia la maggior potenza terrestre della Nato, su cui Erdogan conta per le periodiche azioni contro i curdi d'oltrefrontiera, specie nel nord della Siria. La Turchia, comunque, spende meno di quanto la sua attività militare possa far pensare.

Nel 2025 Ankara investirà per la Difesa 913 miliardi di lire turche, ovvero 26,4 miliardi di dollari, “solo” l'1,8% del Pil. Nel recente passato aveva superato il 2% fra 2017 e 2021, per cadere a un minimo dell'1,2% nel 2022 e risalire in seguito. Un'altalena dovuta anche alle incertezze dell'economia e alla crisi della lira turca. Le industrie militari turche, come la nota Bayraktar che sforna droni competitivi, cercano di sostenersi anche con le esportazioni, in attesa che dal governo vengano commesse più sicure sul lungo termine. Risultati d'orgoglio, come la realizzazione nel 2024 del nuovo caccia nazionale TAI TF Kaan, quasi in reazione all'esclusione della Turchia dal programma F-35, rischiano di venir vanificati senza uno sbocco commerciale che permetta di sostenere una produzione in serie significativa, considerato che del Kaan per ora si prevede la consegna all'aviazione turca di soli 20 unità entro il 2028. In sostanza, Ankara ha le potenzialità tecnologiche per soddisfare, col tempo, le sue ambizioni geopolitiche, a patto però di superare residue fragilità economiche.

COREA DEL SUD

Sotto la costante spada di Damocle dell'agguerrito vicino settentrionale, la Corea del Sud è di fatto sempre in guerra, da oltre 70 anni, dato che il conflitto iniziato nel 1950 con la Corea del Nord è stato bloccato dall'armistizio del 1953 a cui non è mai seguito alcun trattato di pace.

Seul ha potuto contare per la sua difesa su una ininterrotta presenza militare americana, ma ha scelto di investire molto anche in propri sistemi d'arma, come ricaduta inevitabile dello sviluppo industriale degli ultimi decenni. Di recente la sua percentuale di Pil dedicata alla Difesa ha sempre oscillato fra 2 e 2,5 %. Per il 2025 si prospetta una spesa di circa 46 miliardi di dollari, parte di un piano di lungo periodo che dovrebbe portare nel 2029 a spendere 54 miliardi di dollari. Nel caso sudcoreano il pericolo è incentivato dal carattere nucleare della potenza nordcoreana, aggravato da possibili arsenali chimici o batteriologici. Più subdola è la minaccia dello spionaggio e della cyberguerra, che danno impulso all'investimento in sistemi di sorveglianza contro le infiltrazioni di agenti nordisti lungo la “cortina di bambù” che taglia la penisola coreana lungo il 38° parallelo, nonché in sistemi di cybersicurezza con relativo addestramento del personale.

L'eventualità di uno scontro campale con l'esercito nordcoreano, dotato di numerosissimi carri armati, ancorché obsoleti, ha spinto Seul a investire molto nei mezzi corazzati, come ad esempio nel citato carro K2 Black Panther della Hyundai venduto anche alla Polonia. I missili balistici di Pyongyang sono però ancor più preoccupanti e perciò i sudcoreani si sono affidati a una notevole rete di difesa antiaerea e antimissile.

Oltre a comprare sistemi americani, come i Patriot, hanno anche sviluppato in loco missili antimissile di propria produzione, come il KM-SAM Cheolmae-2, per il cui progetto, ironicamente, si sono fatti aiutare dall'azienda russa Almaz Antey, peraltro poi rifiutandosi di consegnare alcuni di questi sistemi difensivi all'Ucraina nonostante una richiesta in tal senso degli Stati Uniti. Oltre alla difesa è importante anche la deterrenza e la Corea del Sud, non volendo affidarsi solo agli Stati Uniti, ha sviluppato una forte aviazione, che agli F-35 affiancherà anche i caccia indigeni KAI KF-21 Boramae, di cui ora si sperimentano i prototipi e di cui dal 2026 al 2032 verranno prodotti 120 esemplari. La disponibilità di missili balistici a medio raggio nazionali come l'Hyunmoo 2, dotati di testata manovrabile e in grado di penetrare bunker, consente a Seul di minacciare a sua volta la Corea del Nord puntando ai suoi centri di comando e alle sue basi più importanti, nonché sollevando il sospetto che, prima o poi, i sudcoreani possano essere tentati di sviluppare proprie piccole testate nucleari per annullare autonomamente, senza pedaggi politici agli Stati Uniti, il divario col regime nordista.

TAIWAN

Isola assediata dalla Cina da ben 76 anni, Taiwan vive per certi aspetti una situazione di perenne crisi paragonabile a quella della Corea del Sud. Con la differenza che la maggior parte dei paesi del mondo, compresi gli alleati Stati Uniti, non la riconoscono come nazione indipendente de jure, ma solo de facto, il che complica dal punto di vista legislativo l'eventuale intervento di paesi stranieri in suo soccorso in caso di invasione cinese. A Taiwan si rifugiarono nel 1949 i cinesi nazionalisti dopo che la Cina continentale fu interamente sottomessa dal regime comunista. La sua vita politica è sempre stata tormentata da correnti pienamente indipendentiste e correnti più propense alla distensione coi compatrioti del continente, in nome della comune identità cinese.

Ciò ha portato nel gennaio 2025 le opposizioni che controllano il Parlamento di Taipei, a dispetto dei piani del presidente Lai, a sforbiciare il bilancio della Difesa previsto per il 2025, pari a 20,2 miliardi di dollari, ovvero il 2,4 del Pil. In particolare sono stati congelati fondi per 66 milioni di dollari che dovrebbero finanziare il programma di sottomarini d'attacco indigeni classe Hai Kun, i primi sottomarini interamente realizzati a Taiwan. Finora ne è stato varato solo uno, nel 2023 a cui dovrebbero seguire altre 7 unità gemelle. Ma le opposizioni vogliono vincolare i fondi finché non verranno completate le prove di mare del primo Hai Kun. Ciò rischia di danneggiare seriamente le capacità di difesa di Taiwan poiché una nuova generazione di sottomarini d'attacco sarebbe proprio una delle contromisure più importanti per scoraggiare l'invasore esponendo le portaerei e le navi da sbarco di Pechino al pericolo di insidiosi siluramenti dagli abissi.

Più in generale, grazie ad acquisti di materiale americano, integrati da una fiorente industria elettronica locale, Taiwan ha sempre calibrato il suo “scudo” in termini di protezione antiaerea, antinave e antimissile, avendo come obbiettivo strategico una resistenza abbastanza protratta nel tempo da tenere aperte rotte marittime di rifornimento in attesa dell'arrivo in suo soccorso degli alleati USA.