È giunto il momento in cui proprio gli oltranzisti e irremovibili di Hamas devono fare il passo indietro. Lo sostiene al Fatah, perché la ripresa delle ostilità a Gaza porta da una sola parte: la cancellazione della presenza palestinese a Gaza. È stato Mounther al-Hayek, il portavoce del presidente palestinese Mahmoud Abbas a scandirlo a chiare lettere riportate con vasta eco da France Presse: o Hamas cede il potere o accadrà l’irreversibile con il verificarsi dell’annientamento sul terreno e la ridislocazione altrove secondo i piani di Donald Trump, che preme sul fianco debole dell’Egitto.
Il messaggio è netto: «Hamas deve mostrare compassione per Gaza, i suoi bambini, le sue donne e i suoi uomini. Mettiamo in guardia contro giorni difficili, duri e dolorosi per gli abitanti della Striscia di Gaza»; se invece Hamas rimarrà abbarbicato al potere, la guerra «porterà alla fine dell’esistenza dei Palestinesi» nella Striscia. Una mossa per rispostare i sempre variabili e schizofrenici equilibri mediorientali, ma anche una presa d’atto che il quadro geopolitico sta diventando soffocante per la causa palestinese. Non sono i miopi velleitarismi occidentali pro-Pal a far spostare l’ago della bilancia, ma la sterzata decisionista di Washington e la forza militare di Israele che non ha riottenuto gli ostaggi razziati da Hamas nella mattanza del 7 ottobre.
La causa palestinese in questa fase storica, al di là dei proclami, non è in cima ai pensieri dei Paesi arabi. Segnali chiari sono arrivati dall’indisponibilità all’accoglienza dei profughi spacciata per necessità politica di garantirne con continuità la presenza fisica nella Striscia. La leadership più moderata di al Fatah è stata oscurata dall’arrembante e spregiudicata condotta sul campo di Hamas che l’ha spodestata da quella guida che ora reclama di voler riassumere. Via dal governo della Striscia di Gaza per il bene dei gazawi, via un ostacolo grande sulla via di un difficile accordo, che passa sull’esistenza dei palestinesi uccisi a decine quotidianamente e su quelle degli ostaggi israeliani di cui si ignora persino se e quanti siano ancora in vita.
Quando si arriva a situazioni inestricabili, la politica da arte del possibile può diventare arte dell’impossibile. Ottanta anni fa in Italia il proconsole di Hitler Karl Wolff condusse una segretissima trattativa con gli Alleati per far finire la guerra in anticipo. Era l’Operazione Sunrise. Lui tirò dalla sua parte il generale Heinrich von Vietinghoff che sostituiva il comandante militare Feldmaresciallo Albert Kesselring, nazista quanto lui ma assai meno realista. Quando Kesselring il 30 aprile 1945 tornò dalla licenza di convalescenza destituì Wolff e ordinò subito di arrestare Vietinghoff e il suo capo di stato maggiore Hans Roettiger. A loro volta Wolff e Roettiger ordinarono di arrestare gli ufficiali con cui Kesselring li avevano sostituiti. Come era accaduto dopo l’attentato a Hitler del 20 luglio 1944, i soldati delle SS e la Wehrmacht si erano fronteggiati armi in pugno poiché non era chiaro chi detenesse il potere e la rappresentanza. Così come accade tra palestinesi. Un malinteso senso della causa il 5 maggio 1945 porterà addirittura i soldati tedeschi a combattere assieme agli americani contro le SS nella battaglia per la liberazione del castello di Itter, in Austria. Pura Realpolitik.
Due edifici residenziali a Mosca sono stati colpiti da un attacco con droni. E' successo questa mattina all'alba a partire dalle ore 4.30. Sulla scena dell’incidente sono stati trovati detriti riconducibili proprio a parti di un drone, dopodiché l’area è stata transennata dai servizi di emergenza russi. I residenti sono stati evacuati. "C'era un suono innaturale. Di solito alle cinque del mattino c'è il rumore delle auto ma questo era innaturale", racconta un residente locale. "Abbiamo un appartamento vicino, se fosse stato colpito sarebbe saltato tutto in aria", aggiunge.
Seggi aperti in Turchia per il secondo turno delle elezioni Presidenziali. Oltre 64 milioni di elettori scelgono tra il presidente uscente Recep Tayyip Erdogan e il socialdemocratico Kemal Kilicdaroglu. Il presidente uscente, dato in vantaggio nei sondaggi, ha votato in un seggio di Istanbul.