
Zelensky sulla tregua è più lucido dei leader europei

C’è un curioso cortocircuito che s’innesca dalla cronaca e cambia le carte sul tavolo della storia. I giornali eurotalebani non lo registrano, perché coinvolge la loro beniamina, quell’Unione Europea che per il comico (involontario) Benigni è «la più grande istituzione degli ultimi 5mila anni». Epperò, ogni giorno che passa il contrasto è sempre più evidente: Volodymyr Zelensky è diventato più lucido, più duttile, più politicamente realista dell’intera leadership europea (dove s’intende eurocratica: Ursula Von der Leyen e i governi appiattiti sul suo parodistico bellicismo dell’ultima mezz’ora, Francia e Germania in testa).
Il presidente ucraino si sta calando nel cambio di paradigma impresso al corso della guerra da Donald Trump molto più della (pseudo)élite riunita attorno all’asse Bruxelles-Parigi-Berlino, e per molti versi è una notizia controintuitiva.
Nessuno più di lui, che guida una nazione invasa, martoriata, straziata nei suoi civili dall’Orso putiniano, avrebbe diritto di irrigidirsi, di impuntarsi anche contro la logica e il responso del terreno, di ammainare il principio di realtà. Ma per converso, proprio perché è inghiottito dalla tragedia quotidiana, e non si trastulla spostando piani quinquennali dall’industria del green a quella delle armi, sarebbe obbligato a tenere la barra, e (non era scontato) l’ha capito.
La barra, oggi, è quella di Donald Trump. Che Zelensky ha ripreso nella sua formulazione originaria: «L’importanza del concetto di pace attraverso la forza del Presidente Trump». Pace attraverso la forza significa continuare a utilizzare contro i carri russi i micidiali missili Javelin («che Trump è stato il primo a fornire nel suo impegno per la pace»), incassare la disponibilità ad ulteriori forniture di missili Patriot (seppur tra quelle già dislocate in Europa), continuare a usufruire dell’impareggiabile sistema d’intelligence americano nonché della rete satellitare Starlink. Nello stesso tempo, aderire al nuovo schema significa esplicitare l’obiettivo strategico, quello di «una vera fine alla guerra e una pace duratura».
CESSARE IL FUOCO
Quindi, dichiarare la disponibilità ad implementare «la fine degli attacchi all’energia e ad altre infrastrutture civili» (corrispondendo al primo, timido e tatticista, passo di Putin) e rilanciare sul «cessate il fuoco incondizionato». Insomma, cestinate le sfuriate degli inviati dal loro divano, coraggiosissimi a giocare con la vita degli ucraini: Zelensky oggi sta totalmente dentro lo schema-Trump. Reggo sul campo grazie alla differenza specifica, militare e tecnologica, americana (dell’altisonante retorica europea purtroppo non se ne fa molto, nelle steppe del Donbass) e perseguo nello stesso tempo la strategia Usa: l’ottenimento della pace. Ha abdicato alla schizofrenia mostrata nell’ormai famigerato incontro alla Casa Bianca, il leader ucraino: non posso incalzare l’America smentendola. Dopodiché, proprio perché pratica il realismo, si videocollega col Consiglio Europeo, sprona i leader sul riarmo, li titilla sull’«indipendenza tecnologica» del Continente, li invita a «premere su Putin» e a «mantenere le sanzioni»: per lui, sono tutti punti tattici. E infatti incassa il “sostegno incrollabile” dell’Ue. Ma non è catturato dal loro illusionismo, non crede neanche per un secondo alla deterrenza o magari perfino alla guerra a oltranza senza l’America, vede tutti i buchi dell’ombrello (portatile) francese e del riarmo tedesco non sa che farsene, non è l’ad di Volkswagen.
Non a caso, termina annunciando che lunedì si incontreranno in Arabia Saudita le delegazioni di Ucraina e Stati Uniti (nello stesso luogo e contemporaneamente al summit russo-americano). La strategia non è la vostra (che peraltro non esiste), la strategia è il negoziato, andate (si spera) in pace.
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