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Vladimir Putin, l'era dei "dittatori legittimi": chi è davvero lo zar, cosa potrà accadere

Giovanni Longoni
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Chi è davvero il dittatore: Zelensky, come sostiene Trump, o Putin, come dicono quasi tutti gli altri? E soprattutto: cosa è un dittatore? Per gli antichi romani, che inventarono la parola, il dictator era una magistratura prevista dall'ordinamento dello Stato che entrava in funzione in casi di estrema gravità per la Repubblica. Il dictator aveva potere supremo, civile e militare, limitato nel tempo (sei mesi). Di dittatori del genere ne abbiamo esempi anche in tempi recenti. In caso di emergenza, tipicamente in guerra, anche le democrazie liberali hanno bisogno di decisioni rapide da parte di esperti nel settore bellico. E così la democratica Gran Bretagna si affidò a Churchill per fermare Hitler, la democratica Finlandia si rivolse a Mannerheim per resistere a Stalin, la Svizzera a Guisan, per difendersi da tutti.

La recente epidemia di COVID ha creato necessità analoghe e così abbiamo visto all’opera figure come Giuseppe Conte e Francesco Paolo Figliuolo. Volodymyr Zelensky appartiene a questo gruppo e lo si constaterà quando il suo Paese gli darà il benservito, cosa che dovrebbe essere imminente. È un dittatore, certo, ma all’interno di un sistema democratico o che vuole diventare tale. Scalzare Putin dal potere, invece, è una questione diversa perché quello è un dittatore a tempo indeterminato. Un tiranno col posto fisso e per lui l’emergenza è la regola.

 

 

 

VITACCIA DA DESPOTA
Eppure la confusione fra i due tipi di dittature resta. Come quando Mario Draghi diede dell’utile dittatore a Erdogan e quello di rimando gli fece notare che a trovarsi al potere senza un mandato popolare era semmai l’italiano. Sembra una nemesi storica: i tiranni di oggi sono quelli con alle spalle l’investitura popolare, i leader dei Paesi democratici spesso sono espressione di striminzite maggioranze.

Eppure anche i dittatori alla Putin hanno i loro bei problemi. Chi glielo ha fatto fare a Vladimir di fingersi presidente eletto? Che figura ci farebbe al circolo dei tiranni uno come lui, l’uomo forte per eccellenza, tanto da essersi meritato il soprannome di zar? E zar lo è davvero, non come gli zar-imperatori Romanov ma come un Ivan il Terribile sì: un capo militare depositario del monopolio della forza. E invece no, si ostina con questa messa in scena delle elezioni, della democrazia, della staffetta. Quest'ultima fu davvero un enigma: perché tanta fatica a creare il ticket con Medvedev quando poteva modificare subito la costituzione e dotarsi di poteri assoluti? Di chiodi che cosa aveva paura? Putin però non è il solo. Al menzionato circolo dei tiranni nessuno lo snobberebbe perché più o meno sono tutti nelle stesse condizioni. Xi Jinping avrebbe potuto essere come Mao e Deng che comandavano tutto senza avere una vera carica ma lui si è addossato tutti gli incarichi più importanti. Il caso più singolare è l'Iran che è una repubblica democratica proprio come ce ne sono tante nell’Occidente, a lungo non ha avuto bisogno nemmeno di veri brogli elettorali. Tutto però viene controllato, supervisionato e giudicato dai religiosi. E poi Maduro, Erdogan, ecc. I dittatori del giorno d’oggi hanno bisogno dell’investitura popolare, vera o simulata.

 

 

 

Quando Sarkozy spinse Cameron e Obama a seguirlo nell’operazione militare per abbattere Gheddafi, Giorgio Bocca in una delle ultime interviste che rilasciò, se ne uscì con una delle sue trovate provocatorie e, almeno quella volta, profetiche. Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, disse, stavano facendo guerra al «legittimo dittatore» della Libia.

La legittimità come termine politico sembrava finita in soffitta insieme al diritto divino dei re. Eppure come dimostra la carriera di Putin e dei suoi colleghi ma pure il destino di Zelensky e addirittura il successo di Trump, Macron, Merkel, la legittimità è ancora fra noi. Ce lo spiega in un libro illuminante Yves Mény, decano dei politologi francesi: Sulla legittimità. Credenze, ubbidienze, resistenze (Il Mulino, 2024) che sviluppa le analisi tenute nel corso delle Alberico Gentili Lectures del 2022 all’università di Macerata.

 

POPOLO SOVRANO?
La legittimità, sorella della sovranità, è la risposta alla domanda: come riescono i dominanti a imporre il loro controllo senza dover esercitare, in maniera continua, la forza e la violenza? Dio, la legge e quel certo non -so -che hanno costituito la risposta tradizionale ma parte essenziale del fenomeno è che «il dominato partecipa alla creazione della legittimità tanto quanto il dominante». È sempre stato così ma oggi lo è ancora di più, in un mondo in cui tutti gli Stati (a eccezione di un pugno di monarchie islamiche) sono o si dicono democratici. Mény, partendo dalla triade delle forme di dominazione legittima proposte da Max Weber (tradizionale, legale -razionale e carismatica) elabora una tassonomia delle forme di legittimità contemporanee attraverso le quali arriva al cuore delle debolezze dei sistemi democratici liberali. Le analisi del volume meritano tutte di venire approfondite ma vorremmo almeno segnalarne una.

Il trasferimento della legittimità individuale/carismatica alle istituzioni, di cui scrive Mény, se da un lato rafforza la credibilità dell’istituzione stessa, dall’altro non è estranea a un fenomeno ambivalente che osserviamo in questi giorni stessi. La straordinaria attività dell’amministrazione Trump sta cambiando l’America e il mondo col solo ausilio degli ordini esecutivi firmati da Donald e le critiche avanzate dai difensori di una prassi di democrazia parlamentare in crisi lasciano il tempo che trovano. Al contrario, le mosse della Casa Bianca stanno rilanciando la posizione americana nel mondo e non pochi scettici o anti trumpiani stanno cambiando opinione sul tycoon. Tuttavia l’azione del 47° presidente si inquadra in un processo iniziato almeno da Obama e dal suo governare per decreti bypassando il Congresso in mano ai repubblicani. Soprattutto, c’è già un precedente interessante perché viene da una parte politica opposta a quella trumpiana. In Polonia, il Donald locale, il moderato Tusk, ha di recente spazzato via il sistema di potere costruito in anni di dominio dai suoi avversari di destra. Qualcuno ha parlato di golpe per l’azione di Tusk, altri hanno salutato l’avvento di un governo europeista e muscolare. È l’eterno scontro fra burocrati e politici, ma è anche altro. Qualche anno fa, Paolo Becchi, talvolta ritenuto l’ideologo del populismo nostrano, definì «colpo di Stato permanente» la politica dei partiti tradizionali e delle élite; un’idea forse più vasta di quanto Becchi pensasse. Perché nell’era dei dittatori legittimi il colpo di Stato sembra diventato davvero una pratica permanente.

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